04 May, 2025 - 21:25

Perché Rosario Livatino è stato ucciso? Chi sono gli assassini del giudice

Perché Rosario Livatino è stato ucciso? Chi sono gli assassini del giudice

Rosario Livatino, noto come il “giudice ragazzino”, fu assassinato il 21 settembre 1990 sulla strada statale 640 tra Agrigento e Caltanissetta, mentre si recava in tribunale senza scorta.

La sua morte rappresenta uno degli episodi più tragici e simbolici della lotta dello Stato italiano contro la mafia negli anni ’80 e ’90. 

Perché Rosario Livatino è stato ucciso?

Negli anni Ottanta e Novanta, la Sicilia era teatro di una feroce guerra di mafia. In questo scenario, la figura di Livatino emerge come quella di un magistrato rigoroso, incorruttibile e profondamente religioso, impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione politica. Livatino lavorava presso il Tribunale di Agrigento e aveva condotto indagini che toccavano i “fili scoperti” della cosiddetta “Tangentopoli siciliana”, una rete di corruzione che coinvolgeva mafia, politica e imprenditoria.

La sua attività giudiziaria aveva colpito duramente i patrimoni mafiosi, grazie all’uso innovativo della confisca dei beni, e aveva messo in difficoltà le organizzazioni criminali locali, in particolare la Stidda, una fazione mafiosa nata da una scissione interna a Cosa Nostra e attiva nel sud-ovest della Sicilia.

Livatino fu ucciso perché rappresentava una minaccia concreta e crescente per la mafia agrigentina. La sua incorruttibilità, la capacità investigativa e il coraggio nel colpire interessi economici e politici dei clan lo resero un bersaglio. La Stidda, in particolare, vedeva in Livatino un ostacolo alla propria espansione e un pericolo per la sopravvivenza stessa dell’organizzazione.

L’omicidio fu anche un messaggio rivolto a Cosa Nostra, per affermare la forza e l’autonomia della Stidda in una fase di guerra tra clan.

Non va sottovalutato, inoltre, l’aspetto umano e spirituale: Livatino era profondamente credente e la sua fede era vissuta come una sfida dalla mentalità mafiosa, tanto che alcuni mandanti lo definirono sprezzantemente un “santocchio”, odiandone la coerenza morale e religiosa.

Come è morto Rosario Livatino?

La mattina del 21 settembre 1990, Livatino stava guidando la sua Ford Fiesta amaranto verso il tribunale di Agrigento. Senza scorta per scelta personale, fu speronato da un’auto con a bordo quattro sicari della Stidda. Ferito a una spalla, tentò la fuga a piedi nei campi, ma fu raggiunto e ucciso a colpi di pistola dopo un inseguimento disperato.

Chi ha ucciso Rosario Livatino? Assassini e mandanti

Le indagini, rese possibili dalla testimonianza oculare di Pietro Nava, portarono rapidamente all’identificazione degli assassini. I primi arrestati furono Paolo Amico e Domenico Pace, esponenti della Stidda di Palma di Montechiaro, residenti in Germania dove lavoravano come pizzaioli. Entrambi furono riconosciuti come esecutori materiali e condannati all’ergastolo.

Le dichiarazioni di Gioacchino Schembri, altro esponente della Stidda divenuto collaboratore di giustizia, permisero di ricostruire la catena di comando e individuare altri responsabili. Tra i mandanti spicca il nome di Giuseppe Montanti, boss agrigentino, condannato all’ergastolo nel 1999 dopo una lunga latitanza in Messico. Anche Gaetano Puzzangaro fu identificato come uno dei killer che spararono a Livatino.

La struttura criminale che ordinò e realizzò l’omicidio era quindi composta da:

  • Mandanti: Giuseppe Montanti e altri capi della Stidda agrigentina.
  • Esecutori materiali: Paolo Amico, Domenico Pace, Gaetano Puzzangaro e altri affiliati, tutti condannati nei diversi tronconi processuali.

Il significato e l’eredità dell’omicidio

L’assassinio di Rosario Livatino fu un colpo durissimo per lo Stato e per la società civile italiana. Il suo esempio di magistrato onesto, rigoroso e fedele ai principi della giustizia e della fede cristiana è oggi riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Nel 2021, la Chiesa cattolica lo ha proclamato beato, riconoscendo il suo sacrificio “in odium fidei”, cioè per odio contro la fede.

La sua morte, tuttavia, non fu vana: le indagini e i processi che seguirono portarono all’arresto e alla condanna dei responsabili, grazie anche al coraggio di testimoni come Pietro Nava e all’impegno di magistrati come Paolo Borsellino. Livatino resta un simbolo della lotta alla mafia e della possibilità di uno Stato più giusto e credibile.

“Quando moriremo, non ci verrà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili". - Rosario Livatino

 

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