Rosario Livatino, noto come il “giudice ragazzino”, è una delle figure più emblematiche della magistratura italiana, ricordato per la sua integrità, il suo coraggio nella lotta alla mafia e la sua profonda fede.
Tuttavia, la sua vita privata è spesso avvolta da un velo di riservatezza e discrezione, in linea con il carattere schivo e austero che lo ha sempre contraddistinto. In questo articolo, analizziamo in modo approfondito la dimensione privata di Livatino, con particolare attenzione agli aspetti legati a moglie e figli.
Rosario Livatino nacque a Canicattì, in provincia di Agrigento, il 3 ottobre 1952, figlio unico di Vincenzo Livatino, impiegato dell’esattoria comunale, e di Rosalia Corbo. La famiglia Livatino era molto unita e Rosario crebbe in un ambiente domestico sereno, segnato da valori profondi di onestà, dedizione al lavoro e fede cattolica.
La casa di famiglia, in viale Regina Margherita 166, fu il centro della sua vita privata: qui visse insieme ai genitori fino alla tragica morte, avvenuta il 21 settembre 1990, quando fu assassinato dalla mafia Stidda.
Dai resoconti biografici e dalle testimonianze di amici e colleghi, emerge che Livatino fu sempre molto legato ai suoi genitori. Dopo intense giornate di lavoro al tribunale, tornava nella sua cameretta, trasformata in studio, dove continuava a studiare i fascicoli giudiziari e a pregare. Nei momenti di difficoltà e sconforto, trovava conforto proprio nella vicinanza della madre e del padre, ai quali era profondamente affezionato.
Un aspetto centrale della vita privata di Rosario Livatino riguarda la sua scelta di non sposarsi e di non avere figli. Diverse fonti testimoniano che il giudice ebbe un fidanzamento ufficiale, che però si concluse per divergenze sulle prospettive di vita futura.
La fidanzata avrebbe desiderato che Rosario si trasferisse ad Agrigento, ma lui non volle lasciare i genitori, scegliendo così di restare accanto a loro e rinunciando a formare una famiglia propria. Questa decisione, lungi dall’essere una rinuncia passiva, fu una scelta consapevole e coerente con la sua visione della vita, in cui il dovere verso la famiglia d’origine e la missione professionale venivano prima di tutto.
“Rosario è stato innamorato, c’è stato un fidanzamento ufficiale, poi si è rotto perché la fidanzata desiderava che Rosario si trasferisse ad Agrigento, ma lui non voleva lasciare i genitori, quindi sceglie di non formarsi una famiglia, per restare con papà e mamma.”
Nonostante alcune leggende metropolitane nate dopo la sua morte, tutte le fonti concordano nel sottolineare che Rosario Livatino non si è mai sposato e non ha avuto figli.
La sua dedizione al lavoro di magistrato e la sua vicinanza ai genitori hanno occupato tutto il suo tempo e le sue energie. La casa di Canicattì, oggi trasformata in Casa Museo, custodisce ancora la memoria di una vita vissuta tra studio, preghiera e famiglia d’origine.
Dopo la morte di Livatino, i suoi genitori vissero anni di dolore e ricordo. Una figura importante nella loro vita fu Giuseppina, collaboratrice domestica che, con il tempo, divenne parte integrante della famiglia.
Alla morte del padre di Rosario, l’abitazione fu lasciata proprio a Giuseppina, che ancora oggi si prende cura della memoria del giudice, quasi a rappresentare simbolicamente una “figlia adottiva” per i coniugi Livatino.