06 May, 2025 - 14:46

Cosa succede se l'INPS fallisce? Il futuro delle pensioni in Italia è a rischio

Cosa succede se l'INPS fallisce? Il futuro delle pensioni in Italia è a rischio

Negli ultimi anni, il dibattito sul futuro delle pensioni in Italia si è acceso a causa delle preoccupazioni sulla tenuta finanziaria dell’INPS, l’ente pubblico che gestisce la previdenza sociale del Paese. L’allarme sul rischio di un possibile “fallimento” dell’INPS ha generato incertezze tra lavoratori e pensionati, alimentando dubbi sulla sicurezza delle prestazioni future. Ma cosa accadrebbe davvero se l’INPS dovesse fallire? E il futuro delle pensioni in Italia è davvero a rischio?

Pensioni a rischio dal 2030?

Le previsioni degli economisti e degli esperti concordano: il 2030 rappresenta un anno critico per la sostenibilità dell’INPS e del sistema pensionistico italiano. Questa data segna l’inizio di una fase ad alto rischio, soprattutto a causa del pensionamento simultaneo dei “baby boomers” (nati tra il 1964 e il 1965), che genererà un picco di richieste di pensione e un forte aumento della spesa previdenziale.

I principali fattori di rischio individuati dagli economisti sono:

  • Squilibrio demografico: l’aumento della longevità e la bassa natalità riducono il numero di lavoratori attivi rispetto ai pensionati, aggravando la pressione sui conti INPS.
  • Crescita economica debole: se il PIL non crescerà almeno dell’1,5% annuo, come ipotizzato in alcune proiezioni, il sistema rischia di non reggere l’impatto del boom di pensionamenti.
  • Bilanci in peggioramento: secondo il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS, il patrimonio dell’istituto potrebbe passare da +23 miliardi nel 2023 a -45 miliardi nel 2032, con risultati di esercizio negativi che peggiorano di anno in anno.

Le proiezioni ufficiali (Ragioneria Generale dello Stato, Nadef) stimano che la spesa pensionistica supererà il 16% del PIL entro il 2042, mentre il rapporto tra spesa e PIL inizierà a salire già dal 2030, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema. Gli esperti avvertono che il periodo più critico sarà tra il 2030 e il 2035; solo dopo il 2045 la situazione dovrebbe gradualmente stabilizzarsi grazie all’entrata a regime del sistema contributivo e all’uscita dei baby boomers dal sistema.

L'Inps rischia il fallimento?

L’INPS, al momento, non rischia il fallimento. I dati più recenti del bilancio preventivo 2025 mostrano che l’ente prevede un avanzo patrimoniale di oltre 456 milioni di euro entro la fine dell’anno, con una gestione economica sotto controllo e flussi di cassa monitorati attentamente. Nonostante le difficoltà economico-finanziarie generali del Paese e le sfide legate all’invecchiamento della popolazione, il sistema previdenziale italiano resta solido grazie anche alla garanzia statale.

Le recenti riforme e le manovre finanziarie hanno introdotto cambiamenti sulle regole di accesso e sugli importi delle pensioni, ma non ci sono segnali concreti di un rischio imminente di default dell’INPS. Le preoccupazioni riguardano piuttosto la sostenibilità a lungo termine e l’adeguamento delle pensioni future, ma i pensionati attuali possono essere rassicurati: lo Stato garantisce il pagamento delle prestazioni anche in caso di difficoltà dell’ente.

L’allarme e le rassicurazioni di Tito Boeri

L’allarme sul rischio fallimento dell’INPS ha avuto ampia eco sui media, ma è stato lo stesso Tito Boeri, ex presidente dell’istituto, a intervenire per rassicurare i cittadini. Boeri ha spiegato che, anche nell’ipotesi estrema di un fallimento dell’INPS – scenario che oggi non si sta verificando – i cittadini continuerebbero comunque a ricevere le loro prestazioni e le loro pensioni. Questo perché il sistema pensionistico italiano, essendo pubblico, è garantito dallo Stato e non può essere lasciato al collasso senza gravi ripercussioni sociali e politiche.

I conti dell’INPS: rischio concreto o allarmismo?

Secondo Boeri, i conti dell’INPS sono sotto controllo, nonostante le voci allarmistiche. Il disavanzo di bilancio registrato in alcuni esercizi, come quello del 2016, è stato causato da accantonamenti volontari più elevati rispetto al passato, una scelta di trasparenza contabile piuttosto che di reale difficoltà finanziaria. In precedenza, infatti, gli accantonamenti erano più bassi e venivano poi recuperati a consuntivo. L’operazione, quindi, non riflette un peggioramento strutturale dei conti, ma una maggiore prudenza nella gestione delle risorse.

Il sistema a ripartizione: punti di forza e fragilità

Il sistema pensionistico italiano si basa sul principio della ripartizione: i contributi versati dai lavoratori attivi vengono utilizzati per pagare le pensioni correnti. Questo modello funziona se il numero di lavoratori è sufficientemente elevato rispetto a quello dei pensionati. Tuttavia, l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità mettono sotto pressione il sistema, riducendo la base contributiva e aumentando la spesa per pensioni.

Boeri sottolinea che una maggiore partecipazione dei giovani al mercato del lavoro e una base contributiva più ampia sono fondamentali per garantire la sostenibilità del sistema. Un aumento dell’occupazione, infatti, porterebbe più contributi nelle casse dell’INPS, riducendo la necessità di interventi sulle aliquote o sulle prestazioni.

Cosa succederebbe se l’INPS fallisse?

L’ipotesi di un fallimento dell’INPS, seppur remota, solleva interrogativi legittimi. Tuttavia, come ribadito da Boeri, anche in caso di default dell’ente, lo Stato sarebbe chiamato a intervenire per garantire il pagamento delle pensioni. Il sistema previdenziale pubblico italiano non può essere lasciato fallire come una qualsiasi azienda privata, perché rappresenta un pilastro della coesione sociale e della stabilità economica del Paese.

In passato, casi di casse professionali in difficoltà sono stati risolti con l’assorbimento da parte dell’INPS, a conferma del ruolo di “garante di ultima istanza” svolto dallo Stato. Questo meccanismo, però, comporta anche rischi: se le casse in crisi vengono assorbite solo dopo aver esaurito il proprio patrimonio, il peso del loro deficit ricade su tutti i contribuenti, generando iniquità e aumentando il carico sulle generazioni future.

Le pensioni future: lavoreremo di più per avere meno

Un altro aspetto cruciale riguarda l’importo e l’età di accesso alle pensioni future. Secondo Boeri, solo il 38,67% dei lavoratori nati nel 1980 potrà andare in pensione prima dell’età prevista per la vecchiaia, che nel 2050 sarà di circa 70 anni. Inoltre, le pensioni saranno mediamente più basse del 25% rispetto a quelle attuali, a causa del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e dell’adeguamento alla speranza di vita.

Questo significa che le nuove generazioni dovranno lavorare più a lungo e potranno contare su assegni previdenziali meno generosi. Per questo motivo, Boeri invita i giovani a investire nella previdenza complementare e chiede al governo di adottare misure che favoriscano l’ingresso nel mondo del lavoro e la continuità contributiva.

Le sfide strutturali: demografia e crescita economica

Il vero nodo della questione pensionistica in Italia è demografico ed economico. Nei prossimi anni, il numero di pensionati crescerà rapidamente, mentre la popolazione attiva tenderà a diminuire. Secondo alcune stime, il periodo più critico sarà tra il 2030 e il 2035, quando andranno in pensione le generazioni nate durante il boom economico degli anni ’60. Se la crescita economica dovesse rimanere modesta, il sistema rischierebbe forti tensioni.

Tuttavia, secondo Boeri, dopo questa fase critica la situazione potrebbe stabilizzarsi, soprattutto grazie al consolidamento del sistema contributivo e a una maggiore partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro.

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