Molti lavoratori, negli ultimi anni, hanno usufruito del congedo biennale retribuito previsto dalla Legge 104/1992, grazie a quanto stabilito dall’articolo 3, comma 3. Questo comma riconosce la condizione di handicap con connotazione di gravità, un requisito fondamentale per accedere a tale beneficio.
Contrariamente a quanto si possa pensare, i criteri legati alla Legge 104 non sono vaghi o soggetti a interpretazioni mutevoli: sono ben definiti e strutturati. Tuttavia, continuano a sorgere dubbi e richieste di chiarimento, soprattutto in merito alla distinzione tra disabilità grave (comma 3) e non grave (comma 1). In quest’ultimo caso, infatti, il diritto al congedo biennale retribuito non è riconosciuto.
Oggi, la possibilità di assentarsi dal lavoro fino a un massimo di due anni, percependo comunque un'indennità, è una concreta realtà per molti. Ma quali sono i criteri precisi per accedervi? In che modo l’ordine di priorità tra i familiari influisce sul diritto al congedo? E come si comporta la normativa in caso di ricovero a tempo pieno della persona assistita?
La Legge 104/1992 prevede una serie di agevolazioni e tutele per i cittadini con disabilità, tra cui il congedo parentale biennale retribuito. Si tratta di un’astensione dal lavoro della durata massima di due anni, durante la quale il lavoratore continua a percepire una retribuzione, come stabilito dal proprio contratto di lavoro.
Uno dei punti cardine è l’articolo 3, comma 3 della Legge 104, che definisce la condizione di handicap grave, ovvero una situazione di grave compromissione funzionale e non autosufficienza. Questo riconoscimento deve essere attestato dalla commissione medica ASL/INPS e riportato nel verbale ufficiale.
Una volta riconosciuta la disabilità grave, il familiare che presta assistenza può accedere non solo al congedo retribuito, ma anche a ulteriori benefici e agevolazioni fiscali.
Secondo quanto indicato dall’INPS, per ottenere il congedo straordinario retribuito è necessario rispettare i seguenti requisiti:
Il congedo straordinario ha una durata massima di due anni, ed è questo il limite massimo riconosciuto per il beneficio. La normativa prevede che il lavoratore possa frazionare il periodo di congedo, richiedendo l’indennità anche per singole giornate o per periodi alternati, in cui si alternano giornate di lavoro a giornate di assenza.
In ogni caso, non si possono superare complessivamente i 24 mesi di congedo retribuito, anche se fruiti in modo discontinuo.
È importante ricordare che anche i lavoratori a tempo determinato possono accedere al congedo, ma solo entro i limiti temporali del loro contratto di lavoro.
Il diritto al congedo straordinario retribuito segue un preciso ordine gerarchico, stabilito dalla normativa, per evitare sovrapposizioni tra più familiari.
La priorità viene assegnata in base al grado di parentela e alla convivenza con la persona con disabilità grave. L’INPS riconosce il diritto secondo il seguente ordine:
Va sottolineato che il lavoratore in possesso dei requisiti previsti dalla normativa può richiedere un’astensione dal lavoro fino a un massimo di due anni, usufruendo del congedo retribuito per assistere un familiare con disabilità grave, riconosciuta ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992.
L’indennità corrisposta al lavoratore durante il periodo di congedo è pari all’ultima retribuzione percepita, calcolata tenendo conto solo delle voci fisse e continuative dello stipendio. Tuttavia, l’importo è soggetto a un tetto massimo annuo, che viene rivalutato ogni anno in base agli indici ISTAT e ai parametri stabiliti dall’INPS.
Durante il congedo, il lavoratore è inoltre tutelato sotto il profilo previdenziale grazie alla copertura della contribuzione figurativa, che garantisce la continuità ai fini pensionistici.
Tuttavia, non maturano ferie, tredicesima mensilità né trattamento di fine rapporto (TFR) durante i periodi di congedo fruiti.
Se la persona con disabilità grave viene ricoverata a tempo pieno in una struttura sanitaria, il diritto al congedo viene sospeso, salvo eccezioni.
La normativa prevede infatti una sospensione del diritto al congedo nei casi di ricovero superiore alle 24 ore, salvo che:
In assenza di questa documentazione, l’indennità e il diritto al congedo vengono sospesi per tutta la durata della degenza.