Tra poco più di sei mesi, alcuni lavoratori presenteranno la domanda di pensione con decorrenza nel 2026. L’INPS valuterà il montante contributivo necessario per accedere al trattamento richiesto. La valutazione dei contributi “puri” potrebbe portare a pensioni inferiori a 600 euro.
Non a tutti i pensionati sarà applicato lo stesso metodo di calcolo. I lavoratori che hanno accumulato un montante contributivo a partire dal 1° gennaio 1996 e negli anni successivi rischiano di più, perché rientrano automaticamente nel sistema contributivo, per cui la pensione sarà calcolata esclusivamente sui contributi versati durante la carriera lavorativa. L’INPS non considera i periodi discontinui, di precariato o di disoccupazione.
Anche la misura “Quota 103”, accessibile a 62 anni con 41 anni di contributi, rientra tra le soluzioni sostenibili per le finanze pubbliche proprio perché agganciata al sistema contributivo (fino a un massimo di 67 anni). Solo ipotizzando un aumento dell’età pensionabile dal 1° gennaio 2027 si riaccenderanno le discussioni sulla mancata riforma e sui provvedimenti in linea con un’austerità poco gradita ai lavoratori. Paradossalmente, alcuni preferiranno andare in pensione nel 2026 con un assegno inferiore a 600 euro.
La riforma Dini del 1995 (Legge n. 335) ha introdotto il sistema contributivo, modificando profondamente il funzionamento del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.
I lavoratori con anzianità contributiva a partire dal 1° gennaio 1996 rischiano ora di ottenere una rendita pensionistica più bassa rispetto a chi ha richiesto la pensione prima del 1996. Questa volta, la responsabilità non è della Legge Fornero.
Sono ormai lontani i tempi in cui la maggioranza politica promuoveva pensioni fino a 1.000 euro e un sistema previdenziale più equo per giovani e lavoratori con pensioni calcolate interamente con il metodo contributivo. Da una parte ci sono i costi, dall’altra le esigenze dei lavoratori: il governo dovrebbe confermare il blocco dell’età pensionabile e sostenere le pensioni inferiori a 600 euro al mese.
Il 2026 sembra segnare un ciclo di pensioni che si aggirano intorno ai 600 euro mensili. In realtà, anche nel 2025 esistono già queste condizioni. È un campanello d’allarme che suona da tempo, ma l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione della natalità e la necessità di mantenere in equilibrio i conti pubblici ne attenuano la percezione.
Una tendenza ad assegni sotto i 600 euro riguarderà soprattutto i lavoratori autonomi con redditi bassi, come artigiani, commercianti, freelance e partite IVA, seguiti da lavoratori discontinui o stagionali. Nubi si profilano anche per le lavoratrici che non possono più accedere a Opzione Donna, se non rientrano nelle categorie di tutela.
In questo caso, essere caregiver, invalide civili con almeno il 74% di invalidità, lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende in crisi con figli minori permette il pensionamento a 59 anni con 35 anni di contributi maturati al 31 dicembre 2023, ma sempre con il sistema contributivo.
Da qui nasce la necessità di pensare a un cambiamento per i giovani con carriere precarie e contratti atipici, nonché per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996.
Fino al 31 dicembre 2026, i requisiti per l’accesso alla pensione resteranno invariati. L’“effetto allungatore” scatterà automaticamente dal 1° gennaio 2027, portando la pensione di vecchiaia a 67 anni e 3 mesi, e la pensione anticipata ordinaria a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, e 42 anni e 1 mese per le donne.
Secondo numerosi esperti, questo effetto moltiplicatore interesserà tutte le misure pensionistiche.
Tutto ciò si accompagna a un equilibrio instabile che porterà coloro che hanno accumulato contributi dal 1996 in poi a percepire una pensione minima di 598,61 euro al mese.
La crisi economica di molti pensionati, presente negli ultimi dieci anni, penalizza i “contributivi puri”, che si ritrovano con assegni in calo. Ecco alcuni esempi:
Al compimento dei 67 anni, chi vuole ottenere l’assegno sociale riceverà un importo massimo, riconosciuto nel 2025, pari a 538,69 euro al mese per 13 mensilità, a condizione che il reddito personale non superi i 7.002,97 euro, mentre quello coniugale sia uguale o inferiore a 14.005,94 euro.
Il panorama pensionistico in vista del 2026 presenta sfide importanti, soprattutto per chi rientra nel sistema contributivo puro e rischia assegni molto bassi. Ecco un riepilogo semplice con cinque domande chiave e risposte sintetiche per capire meglio la situazione.