Donare il sangue è un gesto di grande solidarietà che può fare la differenza tra la vita e la morte.
Per promuovere questa pratica, la normativa italiana consente ai lavoratori dipendenti di assentarsi dal lavoro senza perdere la retribuzione.
Infatti, per chi dona sangue, c’è una buona notizia: la legge italiana riconosce ai lavoratori dipendenti il diritto a un’intera giornata di assenza retribuita in occasione della donazione di sangue o di emocomponenti.
In questo articolo, vedremo come funzionano i permessi per la donazione di sangue, chi può ottenerli e quanto durano, la documentazione e come si calcola la retribuzione.
I permessi retribuiti per chi dona sangue sono una importante tutela per i lavoratori dipendenti che decidono di donare volontariamente e gratuitamente.
In questi casi, il datore di lavoro paga il giorno di assenza, ma poi viene rimborsato dall’Inps, così l’azienda non sostiene costi. L’obiettivo è incentivare questo gesto di solidarietà, garantendo al tempo stesso la tutela del lavoratore.
Di recente, l’Inps ha aggiornato le regole con la circolare n. 96 del 26 maggio 2025, spiegando meglio come funzionano i rimborsi e introducendo alcune novità importanti.
Tra queste, l’uso di nuovi codici per la comunicazione obbligatoria all’Inps, l’obbligo di indicare il codice fiscale del centro trasfusionale e la conferma del diritto al permesso retribuito anche per chi, temporaneamente, non può donare, anche se con alcune limitazioni.
Per avere diritto al permesso retribuito, il lavoratore deve essere un dipendente e donare almeno 250 millilitri di sangue in un centro di raccolta o trasfusionale autorizzato dal Ministero della Salute.
Questo permesso non è previsto per i lavoratori autonomi, i parasubordinati o altre categorie diverse dai dipendenti. Inoltre, la donazione deve essere sempre volontaria e gratuita per poter usufruire del beneficio.
Il permesso per la donazione di sangue copre un arco di 24 ore a partire dall’inizio dell’assenza, ma ai fini del rimborso si considerano solo le ore effettivamente non lavorate.
Per esempio, se un dipendente lascia il lavoro alle 14:00 e il suo turno termina alle 17:00, avrà diritto a 3 ore di permesso retribuito.
Il giorno successivo, il permesso si estende fino alle 14:00; se il lavoratore inizia il turno alle 13:00, si aggiunge un’ora di permesso, per un totale di 4 ore retribuite.
Nel caso in cui la donazione avvenga in un giorno non lavorativo, come il sabato, il permesso viene calcolato solo sulle ore effettive di lavoro comprese nelle 24 ore successive, escludendo quindi i giorni di riposo.
Dopo aver donato il sangue, il lavoratore deve fornire al datore di lavoro due documenti:
Il datore di lavoro è tenuto a conservare questi documenti per almeno dieci anni, così da garantire trasparenza e correttezza nella gestione dei permessi.
La retribuzione per il giorno di permesso corrisponde a quella che il lavoratore avrebbe percepito svolgendo normalmente la propria attività.
In questa cifra sono incluse tutte le voci fisse e continuative, come la paga base, l’indennità di contingenza, gli scatti di anzianità, eventuali superminimi e l’elemento di retribuzione differita (EDR).
Al contrario, non vengono considerati gli elementi variabili, come gli straordinari o i premi legati alla produttività. Questo sistema garantisce un’equa copertura economica, evitando qualsiasi tipo di distorsione.
Dal punto di vista previdenziale, le somme corrisposte per i permessi di donazione del sangue non sono soggette a contributi Inps né a carico del datore di lavoro né del dipendente. Tuttavia, il periodo di assenza viene considerato come contribuzione figurativa, garantendo così il riconoscimento ai fini pensionistici sia del diritto che della misura della pensione.
Sul fronte fiscale, invece, queste somme vengono incluse nel reddito imponibile e sono pertanto soggette all’Irpef.
In Italia, i lavoratori dipendenti che donano sangue hanno diritto a un’intera giornata di permesso retribuito senza perdere la retribuzione, grazie a una normativa che tutela questo gesto di solidarietà. Il datore di lavoro copre il costo, poi rimborsato dall’Inps.
I permessi si calcolano sulle ore effettivamente non lavorate entro 24 ore dall’assenza e richiedono documentazione ufficiale.
Il beneficio è riservato ai dipendenti che donano volontariamente e gratuitamente in centri autorizzati. La retribuzione include voci fisse ma esclude straordinari e premi variabili.