Le indagini sulla morte di Chiara Poggi, avvenuta a Garlasco nell’agosto 2007, si arricchiscono di un nuovo capitolo: l’analisi della spazzatura prelevata dalla casa della giovane. Questa nuova pista investigativa, riaperta dopo anni di processi e sentenze, mira a chiarire punti rimasti oscuri e a verificare la presenza di eventuali tracce biologiche che possano fornire nuove risposte sull’omicidio. Ma cosa cercano esattamente gli inquirenti nella spazzatura di Chiara Poggi? E cosa potrebbe cambiare se venisse trovato un DNA diverso da quello già noto?
La decisione di esaminare i rifiuti domestici di Chiara Poggi nasce dall’esigenza di esplorare ogni possibile fonte di indizi trascurati nelle indagini iniziali. La spazzatura, infatti, può contenere oggetti o materiali che sono entrati in contatto con l’autore del delitto o con la vittima nelle ore precedenti l’omicidio. In particolare, i rifiuti raccolti subito dopo il delitto potrebbero conservare tracce biologiche — come sangue, saliva, capelli, pelle o altri fluidi — utili per isolare profili genetici.
Gli esperti incaricati delle analisi cercano principalmente due cose:
Una volta individuate le tracce sospette, queste vengono sottoposte a esami di laboratorio per l’estrazione e l’amplificazione del DNA. Le tecniche utilizzate sono estremamente sensibili e permettono di ottenere un profilo genetico anche da quantità minime di materiale biologico. Il profilo così ottenuto viene poi confrontato con quelli già presenti nella banca dati delle indagini e con i DNA delle persone coinvolte nel caso.
Il ritrovamento di un DNA diverso da quello di Chiara Poggi o di Alberto Stasi potrebbe rappresentare una svolta nell’inchiesta. In particolare, se il profilo genetico non dovesse corrispondere a nessuno dei soggetti già noti, si aprirebbe la possibilità di individuare un nuovo sospetto o di dover approfondire la posizione di altre persone che potrebbero essere state sulla scena del crimine.
Tuttavia, la sola presenza di un DNA “estraneo” non basta a dimostrare la colpevolezza di una persona. Occorre infatti stabilire il contesto e il momento in cui quella traccia è stata lasciata: potrebbe trattarsi di un residuo innocuo, risalente a un tempo precedente al delitto, oppure di una contaminazione successiva. È quindi fondamentale che le analisi siano accompagnate da una rigorosa valutazione dei tempi, dei modi e delle circostanze in cui i rifiuti sono stati raccolti e conservati.
Se le nuove analisi dovessero portare alla luce un profilo genetico sconosciuto, gli inquirenti potrebbero essere chiamati a riaprire alcune piste investigative, confrontando il DNA con quello di altri soggetti che gravitavano attorno alla vittima. In caso di compatibilità con un sospettato, si potrebbe arrivare a nuove iscrizioni nel registro degli indagati e, in prospettiva, a un eventuale processo.
Al contrario, se non dovessero emergere tracce di DNA estraneo, le indagini potrebbero considerarsi esaurite su questo fronte, confermando la ricostruzione già emersa nei precedenti processi.