Per molti si avvicina il momento della pensione, ma nonostante il desiderio di lasciare il lavoro, ottenere l’assegno previdenziale non è così scontato. Chi non soddisfa i requisiti ordinari rischia di vedere sfumare questa possibilità.
La domanda che molti si pongono è: quanti anni di contributi servono per avere diritto alla pensione minima? Purtroppo, aver lavorato una vita intera non garantisce automaticamente l’accesso alla pensione, perché i requisiti anagrafici e contributivi non sono sempre sufficienti.
L’accesso alla pensione minima dipende infatti da una combinazione di fattori: non solo l’età e gli anni di lavoro, ma anche condizioni particolari ed eccezioni introdotte dalle varie riforme succedutesi nell’ultimo decennio.
Per ottenere la pensione di vecchiaia, è necessario aver maturato almeno 20 anni di contributi e aver compiuto 67 anni di età, salvo eventuali modifiche previste a partire dal 2027.
Negli anni, per attenuare gli effetti della legge Fornero, sono state introdotte alcune deroghe che consentono l’accesso alla pensione anche con un montante contributivo più basso. Tuttavia, i casi in cui si può andare in pensione con soli 5 anni di contributi sono piuttosto limitati e legati a situazioni specifiche.
Il sistema previdenziale italiano è lungo e complesso, e spesso il legislatore ha risposto a problemi strutturali con soluzioni mirate. È proprio per questo che, in certi casi, bastano 15 anni di contributi per accedere alla pensione, ma non si tratta di un diritto esteso a tutti: dipende da quando si è iniziato a versare, dalla continuità contributiva e da altre condizioni particolari.
In linea generale, la pensione di vecchiaia si ottiene con 20 anni di contributi e al compimento dei 67 anni di età, requisiti che restano validi almeno fino al 2026. Dal 2027, potrebbero variare in base all’adeguamento alla speranza di vita.
Come riportato dall'INPS, non tutti i lavoratori sono soggetti alle stesse regole. Le differenze principali riguardano la data di inizio dei versamenti contributivi: chi ha anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, e quindi rientra nel sistema retributivo o misto, può accedere alla pensione di vecchiaia con i requisiti standard indicati.
Lo stesso vale per chi ha un percorso lavorativo misto tra vecchio e nuovo ordinamento: anche in questo caso l’INPS conferma la possibilità di accedere alla pensione con 20 anni di contributi e 67 anni di età, salvo futuri adeguamenti
Sì, anche se solo in casi eccezionali. Il decreto legislativo 503/1992 ha introdotto una deroga ai requisiti ordinari, consentendo ad alcune categorie di lavoratori di accedere alla pensione di vecchiaia con soli 15 anni di contributi.
Ecco chi rientra in questa eccezione:
I lavoratori con un’invalidità riconosciuta pari o superiore all’80%, accertata dalla Commissione medica ASL/INPS, possono accedere alla pensione di vecchiaia anticipata secondo quanto previsto dal decreto legislativo 503/1992.
Per queste persone iscritte all’AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria), la pensione può essere concessa al compimento dei 55 anni di età per le donne e 60 anni per gli uomini, con una finestra mobile di 12 mesi: ciò significa che il trattamento pensionistico decorre effettivamente un anno dopo il raggiungimento dei requisiti.
Va però precisato che, fino al 2026, grazie a un’ulteriore deroga, è possibile accedere alla pensione con un anno in più: quindi a 56 anni per le donne e 61 anni per gli uomini, salvo modifiche a partire dal 2027 legate agli adeguamenti alla speranza di vita.
I lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dal 1° gennaio 1996 in poi sono chiamati “contributivi puri”, perché la loro pensione viene calcolata esclusivamente con il sistema contributivo.
Per loro, l’accesso alla pensione di vecchiaia avviene generalmente con i requisiti ordinari: 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, a condizione che l’importo della pensione sia almeno pari all’assegno sociale, è possibile andare in pensione anche a 71 anni con soli 5 anni di contributi. In questo caso, non si applica il limite legato all’importo minimo della pensione.
La pensione minima si basa sull’anzianità contributiva maturata durante la carriera e sull’età di accesso al pensionamento: è cioè il risultato diretto del calcolo della pensione.
L’integrazione al minimo, invece, è una prestazione assistenziale che entra in gioco quando la pensione calcolata è troppo bassa.
Questa integrazione garantisce al pensionato un assegno minimo stabilito per legge, ma si basa anche su criteri reddituali, cioè viene riconosciuta solo a chi ha un reddito al di sotto di una certa soglia.