Dopo oltre dieci anni di penalizzazioni, la nuova riforma delle pensioni per il triennio 2025–2027 appare, agli occhi dei lavoratori, come una sorta di "migrazione forzata", in linea con quanto accaduto con la legge Fornero dal 2012 in poi. Ancora una volta, a pagarne le conseguenze sono soprattutto i lavoratori prossimi alla pensione, che rischiano di vedere slittare ulteriormente l’età di uscita, anche se solo di tre mesi — salvo ulteriori modifiche normative.
Nonostante l’Italia abbia una delle età pensionabili più alte d’Europa, il sistema previdenziale continua a essere segnato da forti rigidità e da crescenti sfide demografiche, che mettono sotto pressione l’attuale Esecutivo. In passato, molti lavoratori avevano scelto di non aderire a Quota 100 (62 anni d’età e 38 anni di contributi, senza penalizzazioni). Oggi, con l’introduzione di Quota 103 (62 anni e 41 anni di contributi), i requisiti sono diventati più stringenti: l’assegno è calcolato interamente con il metodo contributivo fino ai 67 anni ed è soggetto a un tetto massimo pari a quattro volte il trattamento minimo.
Il sistema sembra dunque orientarsi verso una maggiore sostenibilità economica, ma a scapito della flessibilità. Tuttavia, non mancano segnali di apertura: le proposte avanzate dalle organizzazioni sindacali puntano a una riforma più equa, capace di introdurre margini di flessibilità, maggiore tutela per i lavoratori in uscita e un’attenzione più concreta alle nuove generazioni.
Attualmente, l’età pensionabile in Italia è fissata a 67 anni, ma dal 1° gennaio 2027 è previsto un ulteriore innalzamento, in base all’adeguamento automatico all’aspettativa di vita. Una prospettiva che desta preoccupazione, soprattutto considerando la rigidità del sistema italiano rispetto a quello di altri Paesi europei.
In Italia, molte categorie di lavoratori risultano ancora penalizzate: donne, addetti a mansioni usuranti, lavoratori discontinui. Emblematico il caso di Opzione Donna, passata da misura aperta a tutte le lavoratrici a strumento accessibile solo a poche categorie: caregiver, disoccupate e donne con disabilità.
Le parti sociali, in particolare la UIL, spingono per una riforma più flessibile e inclusiva. Il governo, dal canto suo, ha introdotto incentivi come il Bonus Giorgetti per chi sceglie di posticipare volontariamente il pensionamento. Tuttavia, con l’aumento dell’aspettativa di vita, l’età di accesso alla pensione rischia di slittare ulteriormente, coinvolgendo anche misure come Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 41 per i lavoratori precoci.
Secondo i dati OCSE, i giovani che oggi si affacciano sul mercato del lavoro potrebbero andare in pensione solo a 71 anni. Una prospettiva che, al momento, riguarda esclusivamente i cosiddetti contributivi puri — ovvero i lavoratori senza versamenti precedenti al 1996 — per i quali l’assegno viene calcolato interamente secondo il sistema contributivo.
Nel panorama europeo, l’Italia si distingue per avere l’età pensionabile più alta: 67 anni, con ulteriori aumenti previsti dal 2027. In Francia, l’età pensionabile è stata recentemente elevata a 64 anni, scatenando proteste e forti tensioni sociali.
Anche in Germania, Spagna, Irlanda e Paesi Bassi si registrano innalzamenti verso i 67 anni. Tuttavia, questi Paesi offrono meccanismi più flessibili e percorsi personalizzati per l’uscita anticipata, spesso su base volontaria. Elementi che, in Italia, sono ancora poco sviluppati o fortemente penalizzati sul piano economico.
Da oltre dieci anni, il sistema previdenziale italiano affronta una sfida cruciale: garantire prestazioni dignitose senza compromettere l’equilibrio della spesa pubblica e aggravare il già elevato debito nazionale.
Ma le criticità non si limitano ai conti pubblici. L’intero sistema è sotto pressione a causa di fattori demografici sfavorevoli, come l’invecchiamento della popolazione e un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa. Il risultato è un progressivo calo della forza lavoro attiva, ovvero il numero di contribuenti in grado di sostenere economicamente le pensioni in erogazione.
A tutto ciò si somma la crescente precarietà del lavoro. Molti giovani e adulti operano in condizioni di instabilità occupazionale, con contratti atipici, part-time involontari o periodi di disoccupazione. Questi fattori ostacolano l’accumulo di una contribuzione regolare e sufficiente, rendendo difficile raggiungere una pensione adeguata o, in alcuni casi, addirittura accedere alla pensione minima.
Secondo quanto riportato da investireoggi.it, la UIL ha formulato un pacchetto di proposte per una riforma strutturale del sistema pensionistico, orientata a coniugare sostenibilità finanziaria, equità sociale e giustizia intergenerazionale.
Ecco i principali punti della piattaforma sindacale: