Il 4 febbraio 2005, Giuliana Sgrena, inviata di guerra de Il Manifesto, fu rapita a Baghdad da un gruppo armato islamico mentre documentava le condizioni dei civili iracheni.
Ventotto giorni dopo, venne liberata grazie a un’operazione segreta del SISMI, durante la quale il funzionario Nicola Calipari perse la vita, colpito da fuoco amico americano.
È questa la storia vera alla base de Il Nibbio, il film ora su Netflix, che ripercorre in modo fedele e riflessivo uno dei casi più drammatici della presenza italiana in Iraq.
Il film, una intrigante spy story ma con un'attenzione particolare all'aspetto umano, si concentra in modo particolare su Nicola Calipari, interpretato da uno straordinario Claudio Santamaria, e sul rapporto che si crea tra il funzionario e la giornalista, interpretata magistralmente da Sonia Bergamasco.
La sceneggiatura è fedele alla realtà ed è rispettosa, attenta ad evitare derive complottiste o sensazionalismi, nonostante la scelta consapevole di chi, per salvare una vita, si mette davanti al pericolo.
Il Nibbio ripercorre fedelmente la sequenza degli eventi: il sequestro, le trattative riservate, la liberazione, l’auto blindata in corsa verso l’aeroporto di Baghdad e infine l’agguato accidentale.
I colpi partiti da una pattuglia americana che centrano il veicolo e uccidono Calipari sul colpo e feriscono Giuliana Sgrena.
Un errore fatale su cui si aprirono inchieste separate: quella americana parlò di un incidente procedurale, quella italiana sostenne che l’auto viaggiava a velocità moderata e che mancavano segnali di stop. Nessuna delle due indagini portò a processi concreti, ma il caso lasciò una ferita diplomatica aperta, che mai si è chiusa.
Prima di continuare nella lettura guarda il trailer ufficiale:
Il film riproduce correttamente tutti i passaggi con rigore narrativo, ma evita volontariamente le zone più grigie.
Non affronta, ad esempio, il tema del presunto riscatto di diversi milioni di dollari pagato per la liberazione, su cui Sgrena ha scritto e parlato a lungo. Non si addentra nemmeno nelle contraddizioni emerse tra le versioni dei governi coinvolti o nelle tensioni tra intelligence alleate.
La produzione ha fatto una scelta: mettere al centro l’umanità del gesto di Calipari, più che le ombre geopolitiche.
La scelta di questo tono ha raccolto reazioni miste. Alcuni critici ne hanno apprezzato la sobrietà, parlando di una "spy story etica" che evita il pathos facile.
Altri avrebbero voluto un'indagine più coraggiosa, capace di scavare dietro le versioni ufficiali. Resta però indubbio: il film riesce davvero a restituire la tensione di quei giorni, senza perdere di vista la complessità psicologica dei personaggi? Voi cosa ne pensate?
Giuliana Sgrena, nel suo libro Fuoco amico (Feltrinelli), ha raccontato la vicenda in modo più diretto. Ricorda l’auto che rallentava, il faro puntato e poi i colpi. Calipari si spostò su di lei, facendole da scudo.
Il film riprende questo gesto e riesce a rendere l’elemento narrativo più potente. La regia insiste sul silenzio, sugli sguardi, su un finale che evita ogni retorica.
Cosa resta oggi di quella storia? In parte, il senso di un sacrificio senza giustizia piena.
Calipari, funzionario dello Stato, è rimasto nell'immaginario collettivo come il simbolo della dedizione e responsabilità. Sgrena continua a testimoniare e a porre domande, inascoltate da molte sedi ufficiali.
Il Nibbio non è un'inchiesta, ma un omaggio a una scelta umana. E forse, in questo momento storico, è ciò che più serve ricordare.
Al netto di alcune riflessioni, io che ho visto il film posso affermare che propone una sintesi onesta e rispettosa di quello che è accaduto. Chi cerca la cronaca dettagliata di quell'evento, però, deve ancora affidarsi ai documenti e ai reportage.