Se dovessi definire una delle forme peggiori di tradimento umano di sicuro penserei allo sfruttamento di un’ideologia nata benevola per farne qualcosa di malvagio e oscuro, come una dittatura. La prima persona che mi verrebbe in mente è Stalin che del comunismo marxista - nato con la speranza di abolire il capitalismo, di ridistribuire il potere al popolo, di eliminare le classi sociali e raggiungere un livello egualitario per tutti - ne ha fatto scempio, sfruttandolo per i suoi piani di oppressione e terrore. Iosif Stalin, subdolo prevaricatore, riuscendo a ottenere la totale supremazia a capo dell’allora Unione Sovietica, ha governato spietatamente per oltre due decenni del ‘900, dando sfogo a una meschina megalomania e viltà d’animo. Con le Grandi Purghe cominciate nel 1936, culminate tra il ’37 e il ’38, ha raggiunto forse il punto più basso della sua malignità: milioni di persone, in maggioranza uomini, ma anche donne e bambini, arrestate, torturate e deportate nei Gulag o addirittura fucilate, perché viste come presunte oppositrici del regime stalinista. A risentirne è stata anche l’arte, soprattutto letteraria; qualunque tipo di racconto, opera teatrale o romanzo che criticasse il regime e che non fosse conforme al realismo socialista veniva bandito con la censura e spesso punito anche con l’arresto dell’autore.
Uno dei tantissimi deportati fu Georgij Georgievič Demidov, nato nel 1908 a San Pietroburgo, che da grande si laureò presso l’Istituto di Ingegneria Fisica e che iniziò la sua carriera, per circa dieci anni, sotto la guida del fisico Lev Landau a Leningrado. A febbraio del 1938, mentre lavorava presso l'Istituto elettrotecnico di Charkiv, accusato di attività controrivoluzionaria, fu incarcerato e condannato a otto anni, che poi diventarono dieci, di lavori forzati in uno dei Gulag nella Kolyma, in Siberia nord-orientale. Nel 1958 fu liberato, ma ne uscì devastato sia nel corpo che nello spirito. Trasferitosi a Uchta e lavorando in principio come ingegnere, dovette poi abbandonare la carriera scientifica a causa delle importanti menomazioni insorte durante il periodo di prigionia. Da quel momento si dedicò soltanto alla scrittura, benché avesse già preso a cimentarsi nella letteratura negli anni precedenti. Scrisse diversi racconti ambientati nei Gulag e un romanzo autobiografico intitolato “Ot Rassveta Do Sumerek”. Morto nel 1987, le sue opere furono pubblicate a partire dagli anni ’90, successivamente al suo trapasso e dopo la caduta dell’URSS, grazie all’impegno della figlia.
Tra i suoi scritti più apprezzati c’è “Dva Prokurora”, scritto tra il 1969 e 1974, pubblicato nel 2009. La trama è ambientata nel ’37, durante il Grande Terrore di Stalin, e vede protagonista un giovane procuratore di nome Kornëv che, dopo aver ricevuto una lettera da parte di un detenuto chiamato Stepnjak, un anziano ex professore, si recherà presso la prigione di Brjansk per parlarci di persona. In quella missiva, scritta a mano e col sangue, Stepnjak denunciava di essere stato barbaramente torturato dalle guardie carcerarie, come il resto degli altri prigionieri. Kornëv verificherà di persona le prove degli abusi, riscontrando, sul corpo di un uomo ormai giunto alla vecchiaia, degli evidenti segni di frustate. Inorridito e disgustato, mosso dal suo alto valore morale e dal suo idealismo, Kornëv si recherà subito a Mosca nel tentativo di denunciare il fatto al procuratore generale dell’URSS, Andrej Vyšinskij. Ma, forse peccando di troppa ingenuità, le cose non andranno come dovrebbero.
È di questo racconto che il regista Serhij Loznycja ha voluto farne un film omonimo, di cui ha scritto anche la sceneggiatura, riadattando il testo. Presentato il 14 maggio 2025 al 78º Festival di Cannes, la prima mezz’ora si contraddistingue con una lentezza implacabile e opprimente. Riprese a inquadratura fissa, interni di un istituto penitenziario soffocanti, dalle pareti tinte di un colore scuro che rende l’atmosfera ancor più cupa, pochissimi dialoghi ridotti all’osso, fatta eccezione per il momento in cui a parlare è Stepnjak. Questa parte la chiamerei “catarro e corridoi”; guardandola capirete perché. Benché la storia sia triste e ingiusta, la mancanza di ritmo rende la pellicola oltremodo pesante. Andando avanti però inizia a prenderti, sino a catturarti verso la fine. Le scene del viaggio in treno, che non posso descrivere per evitare di fare spoiler, sono quasi diaboliche. In qualche maniera mi hanno ricordato gli atteggiamenti disturbanti e manipolativi di Paul e Peter di “Funny Games” del 1997 (di cui è stato fatto un remake nel 2007).
Nel complesso il quinto lungometraggio di Loznycja, anche se poteva essere sviluppato meglio, trovo che vada visto già solo per riportare l’attenzione su uno dei momenti peggiori dell’umanità. Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, come esseri umani, abbiamo toccato proprio il fondo e negli ultimi due anni diversi eventi agghiaccianti di quell’epoca sono stati trattati in molti film. Forse prossimi a una Terza Guerra Mondiale, si spera che almeno l’arte possa ricordarci cosa non dovremmo mai tornare a essere. Per “Dva Prokurora”, che ho visto in anteprima, in lingua originale, tre virgola due stelle su cinque. In Italia verrà distribuito, dalla Lucky Red, nel corso dei prossimi mesi.