Con la sentenza n.118 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il limite massimo di sei mensilità previsto dal Decreto Legislativo n. 23 del 2015 per i lavoratori dipendenti delle piccole imprese, in caso di licenziamento illegittimo.
La questione era già stata posta all’attenzione pubblica tramite il referendum dell’8 e 9 giugno 2025, che tuttavia non aveva raggiunto il quorum necessario per la sua approvazione.
Dove il voto popolare non ha avuto effetto, è intervenuta la Corte Costituzionale, bocciando il vincolo delle sei mensilità.
In questo articolo, approfondiremo le implicazioni di questa decisione e analizzeremo quali cambiamenti comporta per lavoratori e datori di lavoro.
È arrivata un’importante e, forse inaspettata, sentenza della Corte Costituzionale: il tetto massimo dell’indennità per il risarcimento dei lavoratori licenziati illegittimamente dalle piccole imprese è incostituzionale.
Nello specifico, la norma dichiarata incostituzionale riguardava i licenziamenti ingiustificati nelle cosiddette “piccole imprese”, ovvero quelle che impiegano non più di 15 dipendenti per singola sede, unità produttiva o Comune, e complessivamente non oltre 60 lavoratori a livello nazionale.
In questi casi, la legge prevedeva un tetto massimo di sei mensilità a titolo di indennizzo, ora ritenuto non conforme ai principi costituzionali.
La Corte Costituzionale ha individuato tre motivi principali per cui il tetto massimo di sei mensilità è incostituzionale:
Scendiamo ancora più nel dettaglio, per capire meglio qual è la norma ritenuta incostituzionale.
Si tratta, nello specifico, dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015.
Tale norma prevedeva che, in caso di licenziamento illegittimo, il giudice avesse la possibilità di riconoscere un’indennità pari a una mensilità per ogni anno di servizio, ma non oltre sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Questa decisione cambia diametralmente lo stato delle cose. E, adesso, è il momento decisivo per attuare provvedimento e un cambio di passo.
Infatti, la Corte Costituzionale auspica un intervento legislativo volto a rivedere la disciplina dei licenziamenti nelle imprese di piccole dimensioni.
È fondamentale comprendere che solo numero dei dipendenti non può costituire l’unico indicatore della reale forza economica di un’azienda, né della sua capacità di sostenere gli oneri derivanti da un licenziamento illegittimo.
Serve, quindi, una valutazione più articolata, che consideri diversi fattori, sia economici che strutturali.
Con la sua decisione, la Corte Costituzionale sembra indirettamente accogliere le ragioni dei promotori del secondo quesito referendario dell’8 e 9 giugno scorso.
Proprio il secondo quesito referendario sul lavoro chiedeva l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ovvero che, con l’eliminazione del tetto massimo di indennizzo, il giudice avrebbe potuto risarcire il danno del licenziamento, considerando anche le reali dimensioni dell’attività economica, l’anzianità del lavoratore, la natura del rapporto e l’impatto economico del licenziamento.
Quel referendum, tuttavia, non ha raggiunto il quorum richiesto del 50% più uno degli aventi diritto al voto, e pertanto non ha prodotto effetti.