23 Jul, 2025 - 16:07

Mostro di Firenze, Natalino Mele figlio di Giovanni Vinci? Cochi: "Non cambia nulla, vi spiego perché"

Mostro di Firenze, Natalino Mele figlio di Giovanni Vinci? Cochi: "Non cambia nulla, vi spiego perché"

Si continua a parlare del Mostro di Firenze. Dopo quarant’anni dall’ultimo delitto, riparte – o sembra ripartire – tutto da un accertamento genetico condotto dal professor Ugo Ricci. Quello che, secondo quanto riportato da La Nazione, avrebbe stabilito che Natalino – il bimbo di sei anni e mezzo sopravvissuto al primo degli otto duplici omicidi attribuiti al serial killer – non sarebbe figlio di Stefano Mele, ma di Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore, indagati (e poi prosciolti da ogni accusa) nell’ambito della cosiddetta “pista sarda”. Una rivelazione che riapre vecchi interrogativi e che pure per Paolo Cochi, documentarista che da anni si occupa del cold case, ha il sapore di una "non-notizia".

Natalino Mele, sopravvissuto al Mostro, figlio di Giovanni Vinci?

"Già nel 1986 il generale dei carabinieri Torrisi - ricorda Cochi - aveva ventilato l'ipotesi che Natalino non fosse il figlio di Mele. Questo perché la madre, Barbara Locci - uccisa insieme all'amante Antonio Lo Bianco nel primo dei duplici omicidi attribuiti al Mostro - frequentava anche altri uomini, tra i quali Francesco e Salvatore Vinci, fratelli di Giovanni, che ora si presume possa essere il padre del bambino".

"Se anche fosse vero, non cambierebbe nulla", precisa Cochi. "Il dato non sposterebbe l'impianto investigativo: né Giovanni Vinci, né gli altri fratelli, né tantomeno Carmelo Cutrona - altro amante della Locci - sono mai stati collegati ai delitti avvenuti dopo il 1968. Anzi, tutti avevano alibi solidi, come accertato definitivamente nel 1989 con l'archiviazione della 'pista sarda'".

La ricostruzione del duplice omicidio di Signa, datato 1968

Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono uccisi a colpi di pistola la notte tra il 21 e il 22 agosto del 1968 mentre erano appartati in auto a Signa, fuori Firenze. Con loro c'era Natalino, figlio di sei anni e mezzo della donna, che miracolosamente si salvò.

Ore dopo, il bambino arrivò a casa di un vicino. "Ho sonno", gli disse. "Il mio babbo è ammalato. La mia mamma e lo zio sono morti". "Per anni si è pensato che fosse stato accompagnato da qualcuno, ma non è vero", spiega Cochi. 

"Dai verbali originali emerge chiaramente che aveva i calzini strappati e sporchi, segno che aveva camminato tanto". Per il delitto fu arrestato e successivamente condannato (con l'ipotesi che avesse agito per motivi passionali) il marito della Locci, Stefano Mele

L'uomo, di professione manovale, arrivato in Toscana dalla Sardegna qualche anno prima, accusò prima i fratelli Vinci, poi confessò, "indicando però punti di sparo incompatibili con la scena del crimine", secondo Cochi. 

"Nel 1982, una lettera anonima indirizzata al giudice istruttore Mario De Comi invitò a riconsiderare il caso alla luce dei nuovi omicidi seriali, e così anche quel duplice omicidio fu attribuito al serial killer che tutti conosciamo".

La pista del "Rosso del Mugello" spiegata da Cochi 

Per quattro degli otto duplici omicidi sono stati condannati - con l'ipotesi di concorso - i "compagni di merende" Mario Vanni e Gianfranco Lotti, amici di Pietro Pacciani, accusato di essere il Mostro, ma morto prima di arrivare a sentenza.

Cochi - come altri esperti - è però convinto che i due, con i delitti che sconvolsero Firenze e dintorni, non c'entrino, e che, piuttosto, sia meritevole di attenzione la pista del "rosso del Mugello", un cacciatore - morto nel 2009 - che viveva appunto nella zona e che avrebbe avuto contatti con la Procura.

Di recente, Cochi, consulente della difesa di un parente di una delle vittime, si è visto precludere - così come l'avvocato Alessio Tranfa - la possibilità di accesso agli atti, da parte delle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti. "Non ci arrendiamo - assicura comunque l'esperto - tante cose non tornano e lo dimosteremo. La verità non è ancora venuta a galla". 

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