Si continua a parlare del Mostro di Firenze. Dopo quarant’anni dall’ultimo delitto, riparte – o sembra ripartire – tutto da un accertamento genetico condotto dal professor Ugo Ricci. Quello che, secondo quanto riportato da La Nazione, avrebbe stabilito che Natalino – il bimbo di sei anni e mezzo sopravvissuto al primo degli otto duplici omicidi attribuiti al serial killer – non sarebbe figlio di Stefano Mele, ma di Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore, indagati (e poi prosciolti da ogni accusa) nell’ambito della cosiddetta “pista sarda”. Una rivelazione che riapre vecchi interrogativi e che pure per Paolo Cochi, documentarista che da anni si occupa del cold case, ha il sapore di una "non-notizia".
"Già nel 1986 il generale dei carabinieri Torrisi - ricorda Cochi - aveva ventilato l'ipotesi che Natalino non fosse il figlio di Mele. Questo perché la madre, Barbara Locci - uccisa insieme all'amante Antonio Lo Bianco nel primo dei duplici omicidi attribuiti al Mostro - frequentava anche altri uomini, tra i quali Francesco e Salvatore Vinci, fratelli di Giovanni, che ora si presume possa essere il padre del bambino".
"Se anche fosse vero, non cambierebbe nulla", precisa Cochi. "Il dato non sposterebbe l'impianto investigativo: né Giovanni Vinci, né gli altri fratelli, né tantomeno Carmelo Cutrona - altro amante della Locci - sono mai stati collegati ai delitti avvenuti dopo il 1968. Anzi, tutti avevano alibi solidi, come accertato definitivamente nel 1989 con l'archiviazione della 'pista sarda'".
Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono uccisi a colpi di pistola la notte tra il 21 e il 22 agosto del 1968 mentre erano appartati in auto a Signa, fuori Firenze. Con loro c'era Natalino, figlio di sei anni e mezzo della donna, che miracolosamente si salvò.
Ore dopo, il bambino arrivò a casa di un vicino. "Ho sonno", gli disse. "Il mio babbo è ammalato. La mia mamma e lo zio sono morti". "Per anni si è pensato che fosse stato accompagnato da qualcuno, ma non è vero", spiega Cochi.
"Dai verbali originali emerge chiaramente che aveva i calzini strappati e sporchi, segno che aveva camminato tanto". Per il delitto fu arrestato e successivamente condannato (con l'ipotesi che avesse agito per motivi passionali) il marito della Locci, Stefano Mele.
L'uomo, di professione manovale, arrivato in Toscana dalla Sardegna qualche anno prima, accusò prima i fratelli Vinci, poi confessò, "indicando però punti di sparo incompatibili con la scena del crimine", secondo Cochi.
"Nel 1982, una lettera anonima indirizzata al giudice istruttore Mario De Comi invitò a riconsiderare il caso alla luce dei nuovi omicidi seriali, e così anche quel duplice omicidio fu attribuito al serial killer che tutti conosciamo".
Per quattro degli otto duplici omicidi sono stati condannati - con l'ipotesi di concorso - i "compagni di merende" Mario Vanni e Gianfranco Lotti, amici di Pietro Pacciani, accusato di essere il Mostro, ma morto prima di arrivare a sentenza.
Cochi - come altri esperti - è però convinto che i due, con i delitti che sconvolsero Firenze e dintorni, non c'entrino, e che, piuttosto, sia meritevole di attenzione la pista del "rosso del Mugello", un cacciatore - morto nel 2009 - che viveva appunto nella zona e che avrebbe avuto contatti con la Procura.
Di recente, Cochi, consulente della difesa di un parente di una delle vittime, si è visto precludere - così come l'avvocato Alessio Tranfa - la possibilità di accesso agli atti, da parte delle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti. "Non ci arrendiamo - assicura comunque l'esperto - tante cose non tornano e lo dimosteremo. La verità non è ancora venuta a galla".