"La notte del 12" è uscito nel 2022 e ha subito attirato l’attenzione per il suo approccio atipico al genere noir. Dominik Moll ha raccontato un’indagine ispirata a un vero caso di femminicidio rimasto irrisolto, scegliendo di non offrire al pubblico una soluzione rassicurante.
Fin da subito, il film ha ricordato a molti "Zodiac" di David Fincher, ma ha preso una direzione ancora più malinconica, quasi rassegnata, nel raccontare il fallimento strutturale e umano della ricerca della verità.
Moll ha usato il genere poliziesco per riflettere non solo sull’enigma di un delitto, ma su una società incapace di accettare il mistero dell’altro, soprattutto quando riguarda una giovane donna uccisa brutalmente. Il risultato è un film che ha lasciato il segno per il suo rigore, il suo sguardo empatico e il coraggio di chiudere senza risposte certe.
La vicenda inizia quando la ventunenne Clara Royer viene bruciata viva in una tranquilla notte d’autunno, nella provincia sud-orientale della Francia. Il capitano Yohan Vivès, da poco nominato a capo della polizia giudiziaria di Grenoble, prende in mano il caso con metodo e determinazione.
Clara conduce una vita libera e indipendente, circondata da uomini con cui ha avuto relazioni: una ragazza autonoma, ma giudicata colpevole - almeno agli occhi di molti abitanti del posto.
Yohan interroga per mesi ex partner e conoscenti, sbatte contro piste inconsistenti, indizi evanescenti e sospetti reticenti. L’indagine si trasforma presto in uno scavo sociale: più che individuare l’assassino, Yohan si ritrova a mappare un intero universo di misoginia latente, silenzi omertosi e giudizi sommari.
"La notte del 12" non è solo un giallo, ma una riflessione profonda sul modo in cui la giustizia affronta (o non affronta) la violenza sulle donne. Il film di Dominik Moll prende ispirazione dal libro "18.3 - Une année à la PJ" di Pauline Guéna, che raccoglie storie vere di poliziotti e indagini rimaste senza soluzione.
Il regista mescola cronaca e finzione, realismo e tensione psicologica, costruendo un'opera che parla più del fallimento collettivo che del singolo crimine. Il tono è asciutto, quasi rassegnato. La provincia francese appare come un microcosmo silenzioso, dove la normalità convive con il buio.
Il paragone con "Zodiac" di David Fincher è inevitabile: anche qui l'indagine sembra interminabile, destinata a non chiudersi mai. Ma se Fincher punta sulla meticolosità investigativa, Moll si affida a uno sguardo più umano, fragile e malinconico.
Il capitano Vivès - interpretato da Bastien Bouillon - si allontana dagli stereotipi del poliziotto duro e tutto d’un pezzo. È scrupoloso, ma silenzioso. Empatico, ma solitario. Trascorre le notti pedalando nel velodromo, quasi a cercare ordine dove la vita gli offre solo caos. La sua figura richiama quella del detective classico, ma senza la retorica dell’eroe solitario: Yohan è stanco, e lo diventa sempre di più.
Il collega Marceau, invece, rappresenta l'altro lato della medaglia: impulsivo, arrabbiato, frustrato da un matrimonio in pezzi e da una società che sembra lasciarlo indietro. Il contrasto tra i due dà forza narrativa al film, e mostra come le ferite personali si riflettano anche nelle indagini. Non a caso, a un certo punto Yohan è costretto ad allontanarlo.
Attenzione: spoiler in arrivo. Dopo anni di inchieste e centinaia di ore passate tra fascicoli, intercettazioni e interrogatori, Yohan si trova davanti a un ultimo sospetto: Mats, un uomo disturbato, ossessionato da Clara. Ma anche lui - come tutti gli altri - viene escluso. Nessuna prova regge. Nessuna pista porta davvero alla verità. E così, tre anni dopo, il caso rimane irrisolto.
Yohan scrive una lettera al collega Marceau. In quelle righe ammette una verità amara: la giustizia non sempre arriva. La scena finale lo mostra in sella alla sua bici, non più nel velodromo ma tra le montagne. Una pedalata nella natura, forse verso una libertà interiore, forse solo verso un’altra notte senza risposte.
Moll non cerca un colpevole. Cerca invece di raccontare una realtà in cui il vero assassino, spesso, è un intero sistema. Un contesto sociale e culturale che colpevolizza la vittima, che lascia le donne sole, che banalizza la violenza. Non c’è catarsi, solo consapevolezza.
Il film ha ricevuto sei César (gli Oscar francesi), tra cui Miglior film e Miglior regia. Ma non è solo per i premi che merita attenzione. La notte del 12 è un'opera necessaria, che parla al presente con sguardo lucido e senza moralismi. È un’indagine sul fallimento collettivo della giustizia. Un racconto crudo ma elegante, che colpisce perché si rifiuta di addolcire l’amarezza della realtà.
Come ha scritto Le Monde: "non c'è nulla da risolvere, c'è solo da capire quanto abbiamo tutti contribuito a questo silenzio". Ed è proprio questo che fa più male.