L’attuale sistema pensionistico italiano offre una via di uscita anticipata dal mondo del lavoro all’età di 64 anni, ma si tratta di una possibilità riservata a una ristretta minoranza: i cosiddetti “contributivi puri”. Questo termine identifica i lavoratori che hanno iniziato la propria attività lavorativa dal 1° gennaio 1996 in poi, ossia soggetti che, non avendo contribuzioni precedenti a questa data, sono stati inquadrati interamente nel sistema contributivo.
Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, rilancia la sua idea di superamento della Legge Fornero. "Credo che 64 anni possano diventare la vera soglia di libertà pensionistica. Oggi la possibilità è limitata ai contributivi puri. Valutiamo i costi per estenderla anche a chi è nel sistema misto”, ha dichiarato il leghista.
Per la Cgil però, la pensione anticipata resta poco più che un’illusione. “Altro che cancellare la Legge Fornero – sostiene la segretaria confederale Lara Ghiglione – questo Governo è riuscito addirittura a peggiorarne ogni aspetto”. Ghiglione ricorda inoltre che l’aggancio automatico dell’età pensionabile alle aspettative di vita non fu una novità della legge Fornero, bensì venne introdotto almeno due anni prima, con il governo di centrodestra nel 2010. “Basta con le operazioni di propaganda: chi oggi attacca questi meccanismi, è lo stesso che li ha creati o accentuati nel tempo”, polemizza la sindacalista.
Sul tema della pensione a 64 anni, la posizione della Cgil è netta: “Serve chiarezza – afferma Ghiglione – questa possibilità non nasce con l’attuale esecutivo, che anzi l’ha resa quasi impossibile da raggiungere, alzando il livello minimo della pensione richiesta a cifre attorno ai 1.700 euro lordi mensili”. Secondo la Cgil, tali condizioni si scontrano con una realtà fatta di stipendi bassi, contratti spesso precari e una profonda disuguaglianza di genere, mettendo così la pensione anticipata fuori dalla portata della maggioranza dei lavoratori.
Le condizioni per accedere alla pensione anticipata a 64 anni rimangono particolarmente severe. Occorrono:
Le già rigide regole diventeranno ancora più restrittive nei prossimi anni. Dal 2030 infatti il requisito dell’importo minimo salirà a 3,2 volte l’assegno sociale, pari a circa 1.724 euro al mese. Un valore che rischia di escludere gran parte dei lavoratori poveri, part-time o precari dal beneficio della pensione anticipata, rendendolo uno scenario quasi irraggiungibile per la maggioranza.
Anche il requisito anagrafico cambierà: dal 2027 il limite di età richiesto potrebbe salire a 64 anni e 3 mesi, adeguandosi alla speranza di vita, a meno che il governo non decida di intervenire per congelare questo aumento come annunciato in diverse occasioni.
L’opportunità di andare in pensione a 64 anni in regime contributivo fu introdotta dalla riforma Fornero del 2012. All’epoca, i requisiti erano leggermente più accessibili: bastava un assegno pari a 2,8 volte l’assegno sociale. I governi successivi hanno però progressivamente irrigidito le condizioni, aumentando sia il valore soglia dell’assegno sia, per chi utilizza la previdenza complementare (cioè i contributi nei fondi pensione privati), il numero minimo di anni di versamenti: 25 anni oggi, che diventeranno 30 dal 2030.
Dal 2024 è stata introdotta un’ulteriore limitazione: la pensione anticipata contributiva non può superare le cinque volte il trattamento minimo Inps, pari a 3.017 euro lordi mensili nel 2025, fino a quando non si raggiunge l’età ordinaria per la pensione di vecchiaia (oggi fissata a 67 anni).
Per tentare di rendere più accessibile la soglia minimale, dal 2025 è possibile sommare all’importo pensionistico anche la rendita derivante dai fondi pensione. In questo caso, però, aumentano gli anni richiesti (25 oggi, 30 dal 2030) ed è vietato cumulare la pensione con altri redditi da lavoro, salvo il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro lordi annui. Anche tale soluzione, in pratica, resta riservata a chi ha potuto contare su un lavoro stabile e ben pagato.
Di fronte a regole così selettive, il dibattito politico rimane acceso. La proposta più recente, avanzata dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, prevede l’estensione dell’uscita anticipata anche ai “misti”, ovvero i lavoratori che hanno versato contributi in parte prima e in parte dopo il 1996. In aggiunta, il governo sta valutando di sfruttare il Tfr custodito presso l’Inps per sostenere le pensioni più basse, soprattutto tra le giovani generazioni.
La Lega, inoltre, spinge per bloccare l’aumento dell’età pensionabile previsto dal 2027 e ridisegnare i meccanismi di flessibilità, puntando su una soglia standard di uscita a 64 anni con almeno 25 anni di contributi.
Mentre il confronto politico prosegue, la realtà è che l’accesso alla pensione anticipata resta oggi un miraggio per la maggior parte dei lavoratori. Le regole sempre più rigide rischiano di penalizzare soprattutto i più giovani, i precari e chi ha avuto carriere discontinue, ampliando il divario tra chi può permettersi di lasciare il lavoro prima e chi invece sarà costretto a lavorare fino all’età ordinaria.
Il tema della flessibilità in uscita tornerà sicuramente al centro dell’agenda politica e sindacale nei prossimi mesi, perché la sostenibilità sociale del sistema pensionistico resta una questione irrisolta e cruciale per il futuro del lavoro in Italia.