Il mondo della fotografia italiana perde uno dei suoi grandi maestri: Gianni Berengo Gardin si è spento all’età di 94 anni, lasciando una traccia profonda nel racconto visivo della società italiana dal secondo Dopoguerra a oggi. Il suo sguardo attento, mai compiaciuto, ha documentato per decenni storie, volti e paesaggi, diventando patrimonio culturale riconosciuto a livello internazionale.
Gianni Berengo Gardin è morto nella serata del 6 agosto 2025 nella sua casa di Camogli, sulla Riviera ligure, dove si era ritirato con la moglie. Si è trattato di una morte avvenuta per cause naturali legate all’età avanzata: nessuna malattia o evento traumatico, ma un trapasso sereno, così come è stata la sua vita, sempre votata alla discrezione e alla sobrietà. Accanto a lui, come spesso nei suoi scatti più intimi, c’erano i suoi affetti più cari, tra cui la figlia Susanna, che in questi ultimi anni lo aveva accompagnato anche nella curatela del suo imponente archivio fotografico.
Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, da padre veneziano e madre svizzera, Berengo Gardin si è sempre sentito profondamente legato a Venezia, dove ha trascorso l’infanzia e la giovinezza e che considerava la “sua vera città d’origine”. Cresciuto in un contesto multiculturale e vivace – la madre Carmen era direttrice dell’Hotel Imperiale – visse a Roma durante gli anni della guerra, per poi stabilirsi a Milano dalla metà degli anni Sessanta. Il rapporto con l’acqua e i paesaggi lagunari ha spesso ispirato i suoi inconfondibili scatti in bianco e nero.
Berengo Gardin era sposato con Caterina Stiffoni, arredatrice e appassionata di cucina. La coppia aveva scelto Camogli come buen retiro, meta costante delle loro vacanze e rifugio, eletto anche a residenza negli ultimi anni. Dal matrimonio sono nati due figli: Alberto, graphic designer che vive a Roma, e Susanna, figura centrale nella gestione dell’archivio fotografico del padre e coautrice della biografia “In parole povere”. La famiglia ha sempre mantenuto una grande riservatezza, anche di fronte alla notorietà del maestro.
Gianni Berengo Gardin ha iniziato a occuparsi di fotografia nel 1954, pubblicando subito su “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Nel corso degli anni ha collaborato con le principali testate italiane e straniere – da Epoca a Time, da Le Figaro a Domus – e lavorato con aziende come Olivetti, Alfa Romeo e Fiat. La vera cifra della sua arte, tuttavia, è il reportage sociale: famoso il volume “Morire di classe” realizzato insieme a Carla Cerati nei manicomi italiani, grazie al quale partecipò attivamente al dibattito che portò alla riforma psichiatrica di Franco Basaglia.
La sua produzione comprende oltre 260 libri fotografici e più di 300 mostre personali in Italia e all’estero. Ha immortalato architettura, paesaggio, lavoro, disagio sociale, viaggiando su e giù per l’Europa con la Leica sempre al collo. Ha documentato i progetti di Renzo Piano dagli anni Ottanta, lasciando testimonianze preziose su cantieri e opere d’arte contemporanea.
Tra i numerosi riconoscimenti spiccano il Leica Oskar Barnack Award (1995), il Lucie Award di New York (2008), il Premio Kapuściński per il reportage (2014) e l’ingresso nella Leica Hall of Fame (2017). Le sue fotografie fanno parte delle collezioni dei più grandi musei del mondo, tra cui il MoMA di New York e il Museo Reina Sofía di Madrid.
Berengo Gardin è stato molto più di un fotografo: un artigiano della memoria, capace di tradurre senza retorica la realtà italiana e universale in immagini di rara forza poetica e sociale. La sua eredità continuerà a ispirare intere generazioni di autori e spettatori.