Mattinata di tensione a Milano, dove le forze dell’ordine, insieme all’ufficiale giudiziario, stanno eseguendo lo sfratto del centro sociale Leoncavallo. Lo storico spazio autogestito di via Watteau, occupato dal 1994, è da anni al centro di una lunga battaglia giudiziaria. Ancora non è chiaro quante persone si trovino all’interno: alcune porte dello stabile risultano sbarrate e l’intervento è in corso. La procedura di rilascio era stata fissata per il 9 settembre, dopo un percorso segnato da oltre un centinaio di rinvii.
Dal 2005 a oggi, infatti, sono stati programmati oltre cento tentativi di sgombero, tutti andati a vuoto. L’ultimo, poco più di due settimane fa, si era concluso con un nulla di fatto per l’assenza della forza pubblica, imponendo la riprogrammazione dell’operazione. A imprimere un’accelerazione decisiva è stata la sentenza della Corte d’appello del 9 ottobre 2024, che ha condannato il ministero dell’Interno a risarcire oltre tre milioni di euro ai proprietari dell’area, la società immobiliare “L’Orologio” della famiglia Cabassi.
La condanna si riferiva proprio al mancato sgombero protrattosi per quasi vent’anni. L’Avvocatura dello Stato aveva sconsigliato di impugnare la decisione in Cassazione, vista l’improbabilità di un esito favorevole, e lo Stato ha dovuto pagare. Il Viminale, a sua volta, ha avviato un’azione di rivalsa contro Marina Boer, presidente dell’associazione “Mamme del Leoncavallo”, chiedendo il rimborso della somma corrisposta ai Cabassi. Intanto, nei mesi scorsi, l’associazione aveva manifestato interesse per un immobile comunale in via San Dionigi, possibile sede alternativa per un eventuale trasferimento del centro sociale, senza però giungere a una soluzione concreta.
Alla vigilia dello sgombero, gli attivisti del Leoncavallo avevano lanciato una raccolta fondi, definita “cassa di resistenza”, per rivendicare il proprio “diritto a esistere”. La campagna ha cercato di mobilitare sostenitori e simpatizzanti in vista di un passaggio che si sapeva ormai inevitabile. Il Leoncavallo, nato negli anni Settanta e poi riaperto in via Watteau nel 1994, ha rappresentato per decenni uno dei luoghi simbolo della controcultura milanese, ospitando concerti, iniziative politiche e attività sociali. Una storia sempre sospesa tra sgomberi, trattative con le istituzioni e tentativi mai concretizzati di regolarizzazione.
Le operazioni odierne, ancora in corso, potrebbero segnare un punto di svolta definitivo in questa vicenda ultratrentennale, che intreccia diritto di proprietà, costi pubblici e il ruolo dei centri sociali nella vita culturale e politica della città.
Lo sgombero del Leoncavallo affonda le sue radici in una lunga storia di contrasti tra la proprietà privata e chi, da trent’anni, ha fatto di quello spazio un luogo di socialità e cultura. Da un lato ci sono i Cabassi, proprietari dell’area attraverso la società “L’Orologio”, che per anni hanno visto i loro diritti negati e hanno ottenuto in tribunale un maxi-risarcimento da oltre tre milioni di euro per il mancato rilascio dell’immobile. Dall’altro, una comunità che considera quelle mura parte della propria identità collettiva, frutto di esperienze artistiche, politiche e solidali.
La sentenza della Corte d’appello del 2024 ha imposto allo Stato di intervenire per non gravare ulteriormente sulle casse pubbliche, ma dietro l’atto formale di uno sfratto c’è la fine, o almeno una trasformazione forzata, di un’esperienza che ha segnato la vita di migliaia di persone a Milano. Negli scorsi mesi, lo sgombero era stato rinviato più volte, alimentando un clima di incertezza e attesa tra gli attivisti e i sostenitori del centro sociale.
Da anni obiettivo di una parte del governo Meloni, lo sgombero del centro sociale è stato accolto con entusiasmo dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, che ha scritto un post su X dove ribadisce che la legge è uguale per tutti e conclude con il termine “afuera” (fuori) rivolgendosi agli occupanti.
Decenni di illegalità tollerata, e più volte sostenuta, dalla sinistra: ora finalmente si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera! pic.twitter.com/FLdaV7Q8mT
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) August 21, 2025
La vicenda intreccia le dinamiche nazionali, ovvero le promesse del governo sullo sgombero dei centri sociali, con quelle locali. A Milano, il centrodestra guarda già alle elezioni comunali previste per il 2027, in un contesto in cui lo sgombero del Leoncavallo diventa anche un simbolo politico, tra rispetto della legalità, diritti di proprietà e mobilitazione sociale.