La mattina di ieri, 21 agosto, Milano si è svegliata con una notizia che ha fatto tremare i muri della politica cittadina e non solo: il Leoncavallo, lo storico centro sociale di via Watteau, è stato sgomberato. Non un’operazione qualsiasi, ma un colpo di scena che nessuno, nemmeno a Palazzo Marino, sembrava aspettarsi.
L’aria che si respira in Comune è di incredulità: il sindaco Beppe Sala non ne sapeva nulla, almeno non prima che le ruspe e le forze dell’ordine si muovessero. Una scena che ha lasciato spiazzati anche i tanti che al Leonka, negli anni, hanno trovato un luogo di cultura, musica, dibattiti e socialità.
Il centrosinistra, tuttavia, si chiede se lo stesso atteggiamento sarà riservato anche al centro sociale di estrema destra romano Casapound. Per ora tuttavia il governo non ha dato risposte su possibili provvedimenti contro gli occupanti di via Napoleone III.
Sala ieri era al lavoro a Palazzo Marino, lontano dal quartiere Greco dove il Leoncavallo ha vissuto decenni di occupazione e iniziative. Come ogni mercoledì, in Prefettura si teneva il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza, ma al tavolo non c’era lui, bensì il vicecomandante della Polizia locale, delegato a rappresentarlo. Eppure, di quello sgombero non si è fatto cenno.
Il punto, per il sindaco, non è solo la sorpresa, ma anche la tempistica. L’intervento era previsto per il 9 settembre. In vista di quella data avevamo avviato un confronto con i responsabili del Leoncavallo per portare le attività dentro un percorso di legalità. Io resto convinto che il Leonka abbia un valore storico e sociale per Milano, e che possa continuare a essere un luogo di cultura, chiaramente in regola.
Da Roma, invece, la linea è apparsa chiara, dura e senza sfumature. La premier Giorgia Meloni è intervenuta subito:
Matteo Salvini, che da anni non risparmia critiche al Leoncavallo, ha esultato:
Più istituzionale ma altrettanto netto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha definito lo sgombero la fine di una lunga stagione di illegalità e lo ha inserito in una strategia più ampia.
La contrapposizione tra il tono quasi celebrativo del governo e lo smarrimento del sindaco Sala racconta bene la distanza che si è aperta nelle ultime ore. Da una parte il pugno duro, dall’altra la volontà di mediare e salvaguardare una memoria collettiva.
Nato negli anni ’70 come spazio occupato, ha attraversato decenni di storia cittadina, tra concerti, assemblee, murales, festival e battaglie politiche. Per alcuni è stato un rifugio di creatività e impegno civile; per altri, invece, il simbolo di un’illegalità protratta troppo a lungo. Lo sgombero di ieri non chiude solo una porta fisica, ma apre una ferita che divide la città. Da una parte chi applaude al ritorno della legalità, dall’altra chi teme di perdere un pezzo di identità milanese.
C'è poi la questione Casapound. Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde, ha criticato duramente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a proposito dello sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano. Secondo Bonelli, la premier parlerebbe di legalità a intermittenza, applicandola in modo selettivo: da un lato per giustificare la chiusura del Leoncavallo, dall’altro ignorando situazioni come l’occupazione da oltre vent’anni, da parte di CasaPound, di un edificio pubblico a Roma, nei pressi della stazione Termini, su cui lo Stato non è mai intervenuto.
Assieme al parlamentare di Avs anche molti esponenti del centrosinistra si sono chiesti se lo stesso trattamento sarà riservato al centro sociale di estrema destra.