Con l’avvicinarsi della legge di bilancio, il tema delle pensioni torna centrale nel dibattito pubblico, anche a seguito della recente Relazione INPS sull’andamento dei trattamenti previdenziali nel 2024. I dati mostrano una crescita nelle pensioni di vecchiaia e invalidità, mentre le uscite anticipate continuano a diminuire, evidenziando un cambiamento strutturale nella previdenza italiana.
Secondo il rapporto annuale INPS, nel 2024 sono state liquidate circa 1,57 milioni di nuove pensioni, con un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. La composizione però è mutevole: le pensioni di vecchiaia sono cresciute del 14,5%, quelle di invalidità dell’11,8%, mentre le pensioni anticipate sono calate del 9%. Questo fenomeno si deve in gran parte alle restrizioni sulle formule di uscita anticipata, come Opzione Donna e le diverse “Quote”, che hanno subito un progressivo irrigidimento e sono ormai limitate a una platea ristretta.
Il dato più rilevante è l’aumento dell’età media di pensionamento: nel 2024, ha raggiunto i 64,8 anni, registrando un incremento di oltre sette mesi rispetto al 2023. Questo andamento è legato alle restrizioni normative e all’applicazione più rigida dei requisiti di uscita, tanto che le finestre anticipate sono sempre meno utilizzate.
Il sistema attuale offre diverse modalità di accesso alla pensione, che si distinguono tra misure strutturali (come le regole introdotte dalla legge Fornero) e finestre temporanee di pensionamento anticipato, soggette ogni anno a cambiamenti secondo la situazione economica e gli equilibri di bilancio.
Per ottenere la pensione di vecchiaia servono almeno 67 anni di età e 20 anni di contributi. Chi rientra nel regime contributivo puro deve maturare un assegno pari almeno all’importo dell’assegno sociale, che nel 2025 è di 7.002,84 euro lordi annui. Il requisito anagrafico resterà valido nel 2025 e 2026, ma dal 2027 è previsto un adeguamento di tre mesi: l’età passerebbe a 67 anni e 3 mesi, in linea con l’aumento dell’aspettativa di vita.
La pensione anticipata non dipende dall’età, ma dai contributi: nel 2025 servono almeno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, requisiti congelati fino al 2026. Dal 2027, salvo cambiamenti, si prevedono aumenti di tre mesi. Resta incerto se il Governo sospenderà questo adeguamento periodico oppure solo per alcune tipologie di uscita.
Riservata solo a chi ha versato contributi dopo il 1996, consente di andare in pensione tre anni prima della vecchiaia, cioè a 64 anni, purché si abbiano almeno 20 anni di contributi e si raggiunga un assegno pari almeno a tre volte l’assegno sociale (21.008,52 euro annui nel 2025). Dal 2025, è possibile cumulare i redditi della previdenza complementare per superare la soglia minima.
Dalla gestione dei trattamenti e dalle prime indiscrezioni politiche emerge interesse verso nuove forme di flessibilità per il pensionamento: si fa strada l’ipotesi di una “Quota 41 flessibile” dal 2026, che consentirebbe l’uscita con 41 anni di contributi, senza vincoli anagrafici stringenti. Questa misura potrebbe rappresentare una risposta alle richieste di chi non può più accedere alle formule anticipate e alle crescenti esigenze di coloro che già oggi fanno parte di una popolazione lavorativa in progressivo invecchiamento.
Il record di assicurati INPS raggiunto nel 2024 (27 milioni), insieme alla crescita dei prestazioni di vecchiaia e invalidità, segnalano una solidità relativa del sistema, ma anche la necessità di bilanciare gli aumenti dei requisiti con misure di flessibilità e inclusione. La decisione del Governo sulla sospensione o conferma dell’aumento di tre mesi per l’età pensionabile sarà cruciale per ridefinire gli equilibri tra sostenibilità finanziaria e tutele sociali nei prossimi anni.