"Il Marchese del Grillo" non è solo un film, è Roma in pellicola. Mario Monicelli ha regalato al pubblico un cult immortale, con Alberto Sordi nei panni dell’aristocratico più irriverente del cinema italiano.
Ma ti sei mai chiesto come finisce davvero questa storia di beffe, satire e potere papalino? E sai quali location hanno fatto da sfondo alle avventure del Marchese, tra palazzi nobiliari, teatri d’epoca e scorci della campagna romana? Qui trovi tutto: dal finale spiegato agli splendidi posti dove il mito ha preso vita.
La Roma del film è un mix di set ricostruiti e luoghi reali. La Piazza della Bocca della Verità (com’era prima dei Lungotevere) è stata ricreata a Cinecittà: qui vediamo condanne ed esecuzioni che, storicamente, avvenivano di fronte a Sant’Anastasia ai Cerchi.
Le sale papali non si sono potute girare al Quirinale, quindi la produzione ha scelto il Campidoglio e gli attuali Musei Capitolini: dall’ufficio del Papa alla "sala delle Oche", fino all’ingresso nella sala degli Orazi e Curiazi. Una Roma "filologica" e insieme cinematografica, che oggi puoi ritrovare tra piazza del Velabro e il Parco degli Acquedotti.
Per chi vuole un itinerario "Sordi-core", oltre alle tappe romane già citate, segnati questi spot che il portale Italy for Movies evidenzia tra set e quinte papaline: Palazzo Pamphilj (Piazza Navona), Palazzetto Le Roy e Palazzo Braschi su corso Vittorio Emanuele. Sono luoghi che raccontano l’immaginario della Roma ottocentesca messa in scena da Monicelli - drappi, scaloni, sfarzo e satira.
Nella Roma papalina del 1809, Onofrio del Grillo (Alberto Sordi) è un nobile annoiato e incline alla goliardia: si alza tardi, pretende silenzio assoluto dai servi e semina beffe esilaranti tra parenti, popolani e persino il Papa.
Tra i tanti scherzi, ce n’è uno memorabile: l’ebanista Aronne Piperno, ebreo e povero cliente, chiede il pagamento per dei mobili realizzati. Onofrio rifiuta usando un argomento infame, e poi lo fa condannare corrompendo giudici e prelati - "la giustizia è morta", annuncia con sarcasmo, meritando un’occasione in più sul palco del potere.
Una notte, tra le rovine del Foro Romano, incontra Gasperino, un carbonaio sbronzo che gli somiglia come due gocce d’acqua. Affascinato dalla sua faccia da sosia, Onofrio escogita una beffa epocale: traveste Gasperino da nobile e lo introduce alla famiglia come il vero Marchese. I parenti reagiscono in modo grottesco - c’è chi pensa che sia posseduto dal demonio - ma il carbonaio, una volta ripresosi dallo shock, inizia ad adattarsi alla situazione, rivelando che "anche lui, da povero, si sente un re a modo suo".
Intanto, l’epoca napoleonica scuote Roma. Onofrio, stregato dalla cantante francese Olimpia e un giovane ufficiale napoleonico, decide di trasferirsi a Parigi. Ma, come spesso succede nella vita (e nei film), arriva il plot twist.
Nell'ultima parte del film, Onofrio del Grillo ha flirtato col vento che soffia da Parigi. Poi la storia ha bussato: arriva la sconfitta di Napoleone a Waterloo e le antiche gerarchie tornano in auge. Il nostro Marchese rientra a Roma, ma stavolta ad attenderlo c’è una condanna a morte per alto tradimento firmata dal Papa. Sì, avete capito bene: si va dritti al patibolo.
Ma se pensavate che il film si concludesse in tragedia - per il Marchese - non preoccupatevi. Un altro colpo di scena ribalta le carte in tavola. Per errore viene arrestato il suo sosia, il carbonaio Gasperino. Sul patibolo arriva la grazia in extremis, e il vero Onofrio torna addirittura tra i sediari pontifici, riprendendo le sue beffe con la solita, spavalda nonchalance. Finale tagliente come una battuta di Sordi: il potere resta… e Onofrio resta Onofrio.
Il "quasi patibolo" di Gasperino è una sintesi feroce della commedia all’italiana: scambio d’identità, beffa che sfiora la tragedia e "perdono" che rimette in moto la macchina sociale. È qui che il film ha tenuto botta nel tempo: dietro la risata c’è la critica di classe (privilegio, impunità, teatrino del potere) e una Roma che cambia perché la Storia cambia, ma certi vizi restano.
Non a caso le schede critiche riassumono il climax come "rischio di decapitazione per scherzo", con una grazia all’ultimo respiro che riporta Onofrio al suo mondo.