Annunciata solo pochi giorni fa, la campagna di censimento delle moschee abusive a Roma lanciata dalla Lega sta già producendo risultati concreti: sono infatti 17 i centri di preghiera islamici irregolari individuati in diverse zone della Capitale, con una concentrazione particolarmente alta nel quadrante sud-est.
Dalla Magliana all’Esquilino, passando per i quartieri Appio, Tuscolano e Tiburtino, i luoghi di culto non autorizzati sono stati rintracciati grazie al metodo degli “accessi civici”, introdotto dall’ex sindaca di Monfalcone e oggi europarlamentare leghista, Anna Maria Cisint.
La mappatura delle 17 moschee abusive è stata resa possibile grazie al ricorso all’accesso civico, lo strumento che consente a chiunque di ottenere dati, documenti e informazioni dalle pubbliche amministrazioni. Attraverso questo metodo, spiegano gli esponenti leghisti, è stato possibile avviare “un’importante azione di mappatura e verifica delle moschee presenti a Roma”, spesso celate dietro sigle informali o associazioni culturali e prive delle necessarie autorizzazioni edilizie o dei cambi di destinazione d’uso.
Cisint ha rivendicato il modello da lei sperimentato a Monfalcone, sottolineando come l’accesso civico costringa i sindaci ad “autodenunciarsi”, aprendo così la strada alla chiusura dei centri irregolari. Il metodo, già applicato nel comune friulano, viene ora esportato a Roma e sarà adottato dai gruppi dirigenti della Lega in tutta Italia.
L’intervento a Roma si è reso necessario, ha spiegato il capogruppo leghista in Campidoglio Fabrizio Santori, perché la Capitale è la città italiana con il maggior numero di centri islamici irregolari.
A illustrare l’iniziativa insieme a lui, nei giorni scorsi, sono stati Maurizio Politi e Antonio Giammusso, rappresentanti della Lega in Campidoglio e nella Città Metropolitana di Roma, affiancati da Souad Sbai, responsabile del Dipartimento Rapporti con le Comunità Straniere, e dall’europarlamentare ed ex sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint.
In collegamento hanno partecipato anche Susanna Ceccardi e Silvia Sardone, eurodeputate leghiste note per le loro battaglie contro l’Islam radicale: entrambe hanno messo in guardia dai rischi di islamizzazione del Paese. Sardone, in particolare, vive da tempo sotto scorta per le sue campagne contro il velo e contro l’Islam.
Durante la conferenza dal titolo “Moschee, legalità urbanistica e trasparenza” con cui ha lanciato l’iniziativa di censimento delle moschee abusive a Roma, la Lega ha messo in evidenza innanzitutto i rischi legati alla sicurezza urbana: molti di questi locali, infatti, non sono idonei né conformi all’uso che ne fanno i fedeli. Emblematico il caso di Centocelle, dove lo scorso agosto i carabinieri hanno sequestrato un garage interrato trasformato abusivamente in moschea.
Ma il problema, è stato sottolineato, non è solo urbanistico, ma ha anche e soprattutto una dimensione culturale. “Questi non sono centri di preghiera, ma strumenti di penetrazione islamista. È ora di dire basta e pretendere regole chiare, tutelando gli stranieri che vogliono davvero integrarsi”, ha dichiarato Souad Sbai.
Al termine dell’incontro, il gruppo della Lega ha effettuato un sopralluogo a Centocelle, quartiere dove lo scorso giugno sono iniziati i lavori per la realizzazione della seconda moschea della Capitale. Il centro religioso sorgerà in piazza delle Camelie, nell’immobile di proprietà dell’Associazione culturale islamica Al Huda, che ha acquistato l’ex mobilificio Gaggioli.
La costruzione ha sollevato numerose polemiche, soprattutto per il coinvolgimento del Qatar come finanziatore del progetto. Ma non solo. ad agosto, a seguito delle inchieste del centrodestra capitolino e del quotidiano Il Tempo, i locali sono stati sottoposti a sequestro per abusi edilizi. Criticità ulteriori sarebbero legate alla destinazione d’uso dell’immobile.
Le polemiche non riguardano soltanto le irregolarità burocratiche. Chi si oppone al progetto sostiene che un centro islamico di tali dimensioni – capace di accogliere fino a mille fedeli – rischi di creare tensioni con i residenti della zona, accentuando la segregazione tra le comunità musulmane immigrate e la popolazione locale.
Una tesi respinta dall’imam di Centocelle, secondo cui “le moschee si aprono perché c’è necessità di pregare e per non creare disagi. Chi lavora ha bisogno di un luogo vicino dove pregare: non tutti possono raggiungere la Grande Moschea – quella della zona nord della città, ndr - o pregare per strada”. L’imam ha inoltre sottolineato che il nuovo centro non sarà solo uno spazio di culto, ma anche un punto di aggregazione culturale aperto a tutti, pensato per offrire servizi e attività utili all’intera cittadinanza.
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