“47.8690 N 18.8699 E”. Non un commento articolato, non una dichiarazione politica, ma una sequenza di numeri. È stata questa la risposta, su X, del portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs a un post di Ilaria Salis. Un messaggio sintetico e tagliente che rimanda a un luogo preciso: il penitenziario di Marianosztra, nel nord dell’Ungheria, dove l’eurodeputata era stata detenuta per oltre un anno.
Il contesto è quello della delicata vicenda che vede Salis, eletta con Alleanza Verdi Sinistra, al centro di una procedura parlamentare che potrebbe privarla dell’immunità. Proprio mentre la Commissione giuridica dell’Europarlamento si prepara a esprimersi, Kovacs ha scelto di rilanciare l’immagine più simbolica possibile: il ritorno dietro le sbarre.
Una mossa comunicativa che non solo mette in luce l’approccio muscolare del governo di Viktor Orbán, ma che ha riacceso immediatamente il dibattito politico europeo, con accuse di cinismo e intimidazione nei confronti di Budapest.
La vicenda giudiziaria e politica di Salis ha assunto i contorni di una sfida simbolica tra due modelli di Europa. Da una parte, chi rivendica la necessità di tutelare le garanzie democratiche e lo Stato di diritto; dall’altra, un governo ungherese che continua a rivendicare la propria linea sovranista. L’eurodeputata italiana aveva ricordato come il 23 settembre la Commissione giuridica discuterà la richiesta di revoca della sua immunità, frutto – a suo dire – di “continue pressioni dell’estrema destra”. Senza la protezione parlamentare, il rischio per lei sarebbe quello di tornare in cella, affrontando un processo che definisce “farsa orchestrata dal potere politico”.
47.8690° N 18.8699° E https://t.co/lJNXgRfQ2O
— Zoltan Kovacs (@zoltanspox) September 18, 2025
Lo scenario, infatti, resta aperto: da un lato socialisti, Verdi e gruppi di sinistra intenzionati a difenderla; dall’altro popolari, conservatori e patrioti spagnoli, guidati dal relatore Adrián Vázquez Lázara, favorevoli alla revoca in quanto i fatti contestati precedono l’elezione. La decisione finale, attesa in plenaria a Strasburgo il 7 ottobre, determinerà non solo il futuro personale di Salis, ma anche la credibilità stessa del Parlamento europeo come istituzione garante delle libertà.
Cari amici, compagne, sostenitori,
— Ilaria Salis (@SalisIlaria) September 18, 2025
siamo entrati in una nuova fase cruciale della mia vicenda politica.
Il 23 settembre, a Bruxelles, la Commissione Affari giuridici del Parlamento europeo – dopo una lunga procedura segnata dalle continue pressioni dell’estrema destra –… pic.twitter.com/rTE4ju14Y7
Il portavoce ungherese ha scelto di non entrare nel merito delle accuse né di affrontare il dibattito politico. Con un messaggio ridotto a coordinate geografiche, ha preferito affidarsi a un linguaggio simbolico, lasciando intendere che, a suo avviso, il destino della deputata dovrebbe ricondurla in carcere.
Questa scelta comunicativa rientra nella strategia di Budapest di rispondere alle critiche internazionali con toni ironici, lapidari o volutamente provocatori. Kovacs non è nuovo a interventi di questo tipo: spesso utilizza i social per ribadire la linea dura del governo Orbán contro chi, dall’estero, accusa l’Ungheria di derive autoritarie.
L’effetto, in questo caso, è stato immediato: trasformare un procedimento istituzionale complesso in un duello comunicativo, con un singolo post che rimette al centro l’immagine del carcere come monito e avvertimento. Un gesto che, per i detrattori, conferma la volontà di piegare la giustizia a strumenti di pressione politica. In passato, tra Kovacs e Salis c'erano stati scambi di battute sui social per via di un fotomontaggio.
La questione dell’immunità di Ilaria Salis, dunque, non si limita a un caso giudiziario individuale, ma si intreccia con il dibattito più ampio sul ruolo dell’Ungheria nell’Unione. Le opposizioni a Bruxelles denunciano da tempo l’erosione dello Stato di diritto da parte del governo Orbán e vedono in questa vicenda l’ennesima prova di forza.
Salis, dal canto suo, ha parlato di un “voto che riguarda la democrazia e l’Europa”, invitando i colleghi a non cedere alle pressioni politiche. Un appello che sottolinea la posta in gioco: non solo la sua libertà personale, ma la capacità dell’Unione di difendere principi fondamentali come giustizia, garanzie processuali e diritti civili.
Mentre il Parlamento si prepara a votare, resta l’eco di quelle coordinate: un messaggio che condensa la linea del governo ungherese e, al tempo stesso, la fragilità di un’Unione chiamata a scegliere tra tutela dei propri rappresentanti e il rispetto delle richieste di uno Stato membro.