23 Sep, 2025 - 13:00

Lo sciopero generale per Gaza non smuove Meloni: i motivi per cui il governo non riconoscerà la Palestina

Lo sciopero generale per Gaza non smuove Meloni: i motivi per cui il governo non riconoscerà la Palestina

Neanche di fronte alle richieste di centinaia di migliaia di persone, il governo italiano fa un passo in avanti per il riconoscimento dello Stato Palestinese. Le imponenti manifestazioni della giornata di ieri, 22 settembre 2025, non hanno smosso di una virgola le opinioni del governo Meloni e, soprattutto, della presidente del Consiglio, che nella serata di ieri è arrivata a New York per partecipare all'80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Mentre le cancellerie europee riconoscono la Palestina, Italia e Germania temporeggiano.

Un'attesa, come del resto ha spiegato la stessa presidente del Consiglio, dettata da alcune condizioni in cui versa la Palestina. Il riconoscimento è visto come un atto puramente politico che, al momento, non gioverebbe a nessuno e sarebbe meglio proseguire con la linea già adottata dall'Italia di invio di aiuti e sostegno alla popolazione civile. A giocare un ruolo decisivo nel mancato riconoscimento c'è anche il ruolo di Hamas, ancora influente nei territori palestinesi.

Ma è davvero questo il motivo per cui Meloni esita così tanto ad allinearsi con il resto dell'Unione Europea? In un momento in cui la Commissione europea annuncia sanzioni, i principali Stati membri riconoscono la Palestina e sembra che Bruxelles abbia deciso di seguire una determinata linea, Meloni resta in disparte. Forse una strategia per continuare a mantenere il rapporto privilegiato con il presidente degli USA, Donald Trump, che a sua volta sostiene il governo israeliano al di là di qualunque azione compia. Una posizione scomoda che condiziona la diplomazia italiana.

Perché l'Italia non riconosce la Palestina

Permangono dubbi e perplessità, nonostante la maggior parte degli italiani chieda a gran voce che il governo Meloni prenda posizione. Nemmeno l'imponente sciopero di ieri ha fatto cambiare posizione all'esecutivo nazionale; la premier, anzi, ha ribadito che la sua posizione – a poche ore dalla partenza verso New York – sarebbe rimasta la stessa. La motivazione? Serve cautela: in questo momento, nonostante l'UE scelga di prendere una posizione netta contro Israele, l'Italia deve agire con calma.

Meloni sarebbe d'accordo sul concentrarsi sulla costruzione diplomatica e sulle condizioni necessarie perché uno Stato possa realmente esistere. La guerra ha profondamente mutato Gaza e cancellato dalle mappe città come Rafah e altri insediamenti. A differenza di Francia, Gran Bretagna, Canada, Australia e altri Paesi europei, che a New York spingono per un passo avanti formale, l’Italia preferisce attendere frutti concreti del processo diplomatico.

Le posizioni da parte del governo

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, arrivato prima della premier, ribadisce che l’Italia sostiene la creazione di uno Stato palestinese, ma solo attraverso un percorso concreto e senza favorire Hamas. Negli ultimi mesi, il governo italiano ha comunque modificato l’approccio: da un netto rifiuto a votazioni più concilianti all’ONU, come quella della risoluzione francese per un cessate il fuoco e una ricostruzione progressiva.

Sì alla Palestina, insomma, ma quando ci saranno le condizioni. L'unico oppositore nel governo al riconoscimento a questo punto sarebbe Matteo Salvini: il vicepremier e leader della Lega ha dimostrato un fortissimo supporto alla causa israeliana negli scorsi mesi e ha lasciato intendere che si opporrà al riconoscimento di uno Stato con al suo interno Hamas.

La questione diplomatica

Non c'è solo il fattore Hamas e l'impegno a costruire uno Stato palestinese dietro le motivazioni del governo. Meloni non ha mai rinunciato a stabilire un rapporto privilegiato con il presidente statunitense Donald Trump. In passato, sulla questione dei dazi, Meloni avrebbe avuto la possibilità di andare a colloquio con il presidente degli USA da sola, ma ha scelto di seguire la linea europea. Questa volta, però, sembra non voler fare lo stesso.

La Casa Bianca, in particolare sotto Trump, non arriverà a condannare il governo Netanyahu e quindi Meloni potrebbe scegliere una strategia intermedia: biasimare le azioni militari, ma non passare ad azioni concrete. Del resto, ieri il centrosinistra, alla notizia delle comunicazioni di Tajani in Parlamento del 2 ottobre, aveva espresso i suoi timori di un "appiattimento sulle posizioni trumpiane" della premier.

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