Settimane di silenzi, accuse incrociate e mercati in subbuglio. Negli Stati Uniti, la sospensione improvvisa di un popolare talk show televisivo ha acceso i riflettori su un tema che va ben oltre la televisione: la libertà di satira in un Paese politicamente spaccato.
Un commento pungente, una di quelle battute che da sempre aprono i monologhi della late night americana, è bastato per accendere la miccia. Il 17 settembre l’emittente ABC ha sospeso temporaneamente Jimmy Kimmel Live!, storico talk show in onda dal 2003, a seguito delle parole del conduttore sull’assassinio di Charlie Kirk, noto attivista conservatore ucciso pochi giorni prima durante un incontro pubblico nello Utah.
Nel monologo di apertura, Kimmel aveva accusato la destra vicina a Donald Trump – definita “la gang MAGA” – di voler capitalizzare politicamente la morte di Kirk. Secondo il conduttore, i repubblicani cercavano di dipingere Tyler Robinson, sospettato dell’omicidio, come un oppositore politico, mentre le sue posizioni sarebbero state più vicine a quelle dei trumpiani di quanto volessero ammettere.
Le parole hanno scatenato una reazione a catena. Esponenti di primo piano del Partito Repubblicano, incluso il presidente dell’agenzia federale che vigila sulle telecomunicazioni, hanno minacciato sanzioni contro ABC e la Walt Disney Company, proprietaria dell’emittente, chiedendo persino la cancellazione definitiva del programma. L’ex presidente Donald Trump, intervenendo via social, ha rincarato la dose definendo Kimmel “una persona senza talento, licenziato per pessimi ascolti”.
In poche ore, la vicenda ha superato i confini degli studi televisivi e si è riversata sui mercati. Gruppi di sostenitori di Kimmel e difensori della libertà di espressione hanno avviato un boicottaggio contro Disney, disdicendo abbonamenti alle piattaforme streaming e annullando prenotazioni per parchi e crociere. Il titolo del colosso dell’intrattenimento ha perso l’1,9% in Borsa, pari a circa 3,8 miliardi di dollari di capitalizzazione bruciati in pochi giorni.
Di fronte alla pressione politica e finanziaria, ABC optò per una sospensione “per raffreddare il clima”, annunciata il 17 settembre. Per una settimana lo show è rimasto off-air, mentre attori di Hollywood, conduttori rivali e organizzazioni per i diritti civili denunciavano un vero e proprio attacco alla satira e alla libertà di parola. Il 23 settembre è arrivato il contrordine: in un comunicato ufficiale, l’emittente ha spiegato che, dopo “un dialogo costruttivo” con Kimmel, il programma sarebbe tornato in onda. La sospensione era stata quindi una misura temporanea, non una punizione definitiva.
Resta però l’impressione che questa vicenda racconti qualcosa di più profondo. Negli Stati Uniti la satira televisiva è sempre stata un barometro della democrazia: da Lenny Bruce a Saturday Night Live, il diritto di prendersi gioco del potere è considerato un pilastro della cultura americana.
Il caso Kimmel dimostra quanto questo spazio si stia restringendo. In un’America divisa, dove politica e spettacolo si mescolano e le reazioni alle parole diventano immediate e violente, anche una semplice battuta può trasformarsi in un atto politico. La trasmissione è tornata, ma resta aperta una domanda cruciale: la satira può ancora essere libera quando la politica la usa come campo di battaglia?
A cura di Chiara Bollo