Il nuovo piano di Donald Trump per Gaza promette sviluppo economico e pace, ma dietro l’apparente pragmatismo riaffiorano vecchie ombre: dalla “Riviera del Medio Oriente” alle zone economiche speciali, resta il dubbio se si tratti di ricostruzione o di controllo mascherato.
Il 29 settembre 2025, la Casa Bianca ha pubblicato il piano di 20 punti del presidente americano Donald Trump per porre fine alla guerra a Gaza. Trump ha anche tenuto un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca. Netanyahu ha accettato la proposta americana.
L'ultimo piano di pace per Gaza arriva mentre si avvicina il secondo anniversario dell’inizio della guerra tra Israele e Hamas. Il gruppo palestinese non ha rilasciato una risposta immediata.
Il piano di Trump, definito dallo stesso presidente come un momento “storico”, prevede nella prima fase il rilascio dei restanti 48 ostaggi, di cui 20 si ritengono ancora in vita.
Tel Aviv rilascerebbe 250 palestinesi detenuti e 1.700 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre 2023. Questa fase prevede anche il flusso immediato di aiuti umanitari.
La fase successiva parla di un governo guidato da un organismo transitorio temporaneo formato da un comitato tecnocratico, supervisionato da un “Consiglio per la pace” presieduto da Trump e da altri leader, come l’ex premier britannico, Tony Blair.
Secondo il piano, quindi, Hamas non dovrebbe avere alcun ruolo nella governance della Striscia di Gaza.
Il Consiglio per la pace avrebbe inoltre il compito di supervisionare la ricostruzione e lo sviluppo economico dell’enclave palestinese.
Tra i diversi aspetti, il piano di sviluppo economico di Trump riporta subito alla mente la sua precedente rivendicazione controversa di trasformare la Striscia di Gaza in una “Riviera del Medio Oriente” e il trasferimento forzato di circa 2 milioni di palestinesi.
Questa volta, però, la nuova proposta appare riformulata.
Per “ricostruire e rivitalizzare Gaza” sarà incaricato un gruppo di esperti che in passato hanno contribuito allo sviluppo di altre città moderne in Medio Oriente. Il punto 10 del piano lo esplicita:
È inoltre prevista l’istituzione di una zona economica speciale (Zes) “con tariffe e tassi di accesso preferenziali”.
La nuova strategia di sviluppo si concentra quindi sul ruolo di esperti tecnocratici e su un approccio economico più inclusivo, senza menzionare lo spostamento della popolazione palestinese. Nel piano viene specificato che “nessuno sarà costretto a lasciare Gaza” e che le persone saranno incoraggiate a rimanere.
Non propone quindi direttamente l’idea della “Riviera del Medio Oriente”, ma si articola su un modello di sviluppo economico più strutturato e pragmatico. Resta forte l’accento sull’attrazione di investimenti e la creazione di opportunità attraverso la Zes, senza affrontare le componenti più controverse.
Che cosa significa “zona economica speciale”? In termini generali, si tratta di un’area geografica delimitata all’interno di un paese con una legislazione economica differente e condizioni agevolate per attrarre investimenti stranieri e stimolare lo sviluppo economico.
Nel piano di Trump per Gaza, potrebbe significare una strategia ambiziosa che includa la negoziazione di tariffe e condizioni preferenziali con i paesi partecipanti per attirare investimenti e facilitare lo sviluppo economico nell’area.
Una strategia che suona più morbida ma ugualmente ambiziosa per la Striscia di Gaza non implica automaticamente un futuro favorevole per gli abitanti l’enclave. Al contrario, questa nuova proposta alimenta timori legati al suo accento su una gerarchia di controllo che potrebbe favorire esclusivamente gli interessi dei paesi partecipanti. Dall’altra parte, il rischio percepito è quello di una nuova forma di colonizzazione mascherata, capace di distrarre l’attenzione dal potenziale controllo occulto più che dal reale beneficio per i palestinesi.