09 Oct, 2025 - 12:58

Tregua a Gaza porterà Nobel per la pace a Trump? Ecco perché il premio non è ancora all'orizzonte

Tregua a Gaza porterà Nobel per la pace a Trump? Ecco perché il premio non è ancora all'orizzonte

La tregua a Gaza, firmata sotto la mediazione di Donald Trump, è stata salutata come un successo diplomatico senza precedenti. Il presidente americano punta a presentarsi come costruttore di stabilità globale e potenziale candidato al Premio Nobel per la pace. Tra ambizioni personali e diplomazia intermittente, il “Trump pacificatore” rischia di restare più un titolo mediatico che una realtà politica.

Trump, il costruttore di pace

Israele e Hamas hanno firmato la prima fase del piano di pace di Donald Trump. La notizia è arrivata all'indomani del secondo anniversario dell'inizio della guerra a Gaza.

Il presidente americano, soprattutto in questo suo secondo mandato, si propone come un costruttore di pace. Si è già vantato di aver posto fine a sei guerre in sei mesi  dall’inizio del suo incarico e poi a sette conflitti in sette mesi. Secondo questi calcoli, il nuovo accordo a Gaza potrebbe essere inserito nella lista dei successi rivendicati dal leader americano.

Trump ha ribadito più volte, dall'inizio del suo nuovo mandato, di voler mettere l'America al primo posto. Ciò si traduce in una politica estera che mira a evitare il coinvolgimento diretto del Paese nei conflitti altrui.

Diversi analisti sostengono che l’agenda di Trump non sia soltanto un “America First”, ma anche un “Trump First”: un progetto politico e personale in cui “Trump il pacificatore” diventa una figura costruita per ottenere riconoscimenti globali, come il Premio Nobel per la pace.

Quando il presidente americano si è vantato di aver concluso “sei guerre in sei mesi”, molti si sono chiesti di quali conflitti stesse parlando e cosa fosse realmente accaduto. Si riferiva ai casi di Serbia e Kosovo, India e Pakistan, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, Israele e Iran, Cambogia e Thailandia, e Armenia e Azerbaigian. Successivamente, alla lista è stata aggiunta anche la riconciliazione diplomatica tra Egitto ed Etiopia.

Molti osservatori, però, rimangono scettici su queste rivendicazioni. In diversi casi si tratta infatti di tensioni latenti o dispute di lunga data, la cui risoluzione è tutt’altro che definitiva. In altri, si parla più di stalli diplomatici che di conflitti reali terminati grazie all’intervento statunitense. Va ricordato che alcune nazioni hanno addirittura respinto il merito attribuito a Trump.

Gaza, i limiti della diplomazia trumpiana

La guerra a Gaza, come anche quella in Ucraina, rappresenta per Trump uno dei dossier più complessi. Proprio per l’attenzione mediatica internazionale che suscitano, questi conflitti sono ampiamente considerati una possibile chiave per l’ambizione di Trump al Nobel per la pace.

Da ricordare che questa è la seconda tregua a Gaza annunciata da Washington in meno di un anno. Nonostante la notizia positiva dei negoziati, la situazione nell’enclave palestinese rimane estremamente fragile.

La squadra di Trump è impegnata negli sforzi diplomatici per porre fine al conflitto già dai giorni successivi alla vittoria elettorale del novembre 2024. Le parti hanno avviato la prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a metà gennaio 2025. Tuttavia, al termine dei primi 60 giorni, Israele e Hamas non sono riusciti a trovare un’intesa per la seconda fase, portando alla ripresa dei combattimenti. Tel Aviv ha successivamente lanciato due nuove operazioni militari a Gaza.

A questo punto, torna il nodo centrale: firmare accordi non significa risolvere le cause profonde del conflitto. La tregua, pur rappresentando un passo diplomatico, non equivale immediatamente ad una pace duratura.

Il Nobel per la pace a Trump: tra ambizione e contraddizioni

Trump è stato nominato più volte per il Premio Nobel per la pace, dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dal premier cambogiano Hun Manet e da alcuni parlamentari americani, tra gli altri. 

Il leader statunitense ha raggiunto i risultati concreti in grado di segnare una vera svolta verso la pace globale?

Molti critici sostengono che Trump tenda ad annunciare accordi più per motivi politici che per un autentico impegno pacificatore. La sua visione della pace, infatti, appare spesso subordinata alla costruzione della propria immagine internazionale.

Le contraddizioni emergono anche dalle sue scelte in politica estera: il presidente americano ha ritirato gli Stati Uniti da diversi trattati multilaterali, si è allontanato da importanti organizzazioni internazionali e, in passato, ha persino minacciato di “strappare la Groenlandia alla Danimarca con la forza”.

In questo contesto, il sogno di Trump di ottenere il Nobel per la pace rimane lontano. Più che un costruttore di pace, la sua figura appare come quella di un leader che alterna gesti diplomatici a mosse divisive, in un equilibrio sempre precario.

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