10 Oct, 2025 - 18:00

L'assurda proposta della Lega per assegnare il Nobel per la Pace 2026 a Trump

L'assurda proposta della Lega per assegnare il Nobel per la Pace 2026 a Trump

La notizia è arrivata da Oslo, come ogni anno, con il peso delle decisioni che segnano il dibattito globale.

Il Premio Nobel per la Pace 2025 è andato a Maria Corina Machado, l’oppositrice venezuelana che da anni sfida la dittatura di Nicolás Maduro. 

Un riconoscimento che ha sorpreso molti, emozionato altri e deluso chi, in diverse capitali, sperava in un segnale diverso. Tra questi, anche chi, in Italia, aveva appena presentato una mozione per sostenere Donald Trump nella corsa al Nobel 2026.

La Lega, con Riccardo Molinari come primo firmatario, aveva chiesto alla Camera di appoggiare l’ex presidente americano “come simbolo di mediazione e pace in Medio Oriente”, purché il suo piano per Gaza trovasse attuazione concreta. Ma la realtà, almeno per ora, ha preso un’altra direzione.

La “libertadora” di Caracas

Dalle strade di Caracas fino alle stanze del potere internazionale, il nome di Maria Corina Machado è diventato sinonimo di coraggio. Il Comitato norvegese, annunciando la decisione, ha parlato di “una donna che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo all’oscurità”.

Nelle motivazioni si è sottolineato come Machado, da oltre vent’anni, si batta per un Venezuela libero, un Paese che nel tempo è scivolato da una fragile democrazia a un regime autoritario.

“È una figura unificante”, ha scritto il Comitato, ricordando la sua capacità di tenere insieme un’opposizione spesso divisa e disillusa.

La stessa Machado, raggiunta al telefono dal segretario del Comitato, avrebbe detto di essere “sotto shock”, confessando che il premio non appartiene solo a lei ma a “un intero popolo che non ha smesso di credere”.

In un video diffuso dal suo team, l’ex deputata ha ringraziato “ogni venezuelano che lotta per il futuro dei propri figli”, mentre il leader in esilio Edmundo González l’ha definita “il simbolo della libertà”.

Anche Ursula von der Leyen, da Bruxelles, ha voluto inviarle un messaggio di stima: secondo la presidente della Commissione europea, il suo coraggio dimostra che “lo spirito di libertà non può essere imprigionato”.

L’appello della Lega per Trump

Mentre a Caracas si festeggiava, a Roma il gruppo leghista rilanciava la propria proposta. Riccardo Molinari ha spiegato che la mozione non è un gesto di partigianeria, ma “un atto di fiducia verso un piano di pace” che, se realizzato, potrebbe rappresentare una svolta nel conflitto israelo-palestinese.

La Lega ha parlato di “un segnale di speranza” in un mondo segnato da nuove tensioni, antisemitismo e radicalizzazione. L’idea è che la candidatura di Trump, qualora riuscisse davvero a garantire un cessate il fuoco duraturo a Gaza, sarebbe un riconoscimento per chi tenta di mediare, non per chi vince.

Negli Stati Uniti, però, la reazione è stata più aspra. Steven Cheung, portavoce della Casa Bianca, ha accusato il Comitato del Nobel di “anteporre la politica alla pace”, sostenendo che “nessuno come Trump è stato capace di muovere montagne con la forza della sua volontà”.

Dalla Russia, invece, Vladimir Putin ha commentato con toni più cauti, dicendo che l’ex presidente americano “sta facendo molto per risolvere questioni complicate”, ma che non spetta a lui giudicare se meriti o meno un Nobel.

Pace, politica e percezioni

A Oslo, il presidente del Comitato, Jorgen Watne Frydnes, ha ribadito che le scelte del Nobel si basano “solo sulla volontà di Alfred Nobel e sul lavoro concreto per la pace”, non sulle pressioni o sulle campagne mediatiche.

Parole che suonano come una risposta indiretta alle polemiche. In fondo, la decisione di premiare Machado e non Trump è anche un messaggio politico: la pace, agli occhi del Comitato, non si misura in piani ancora sulla carta, ma in sacrifici già vissuti.

Così, mentre Trump promette nuovi accordi e la Lega scommette sulla sua visione del Medio Oriente, l’immagine di Maria Corina Machado che riceve il premio resta come un contrappunto potente.

È il volto di chi ha scelto di restare nel proprio Paese anche a costo della clandestinità, di chi parla di schede elettorali invece che di proiettili.

Un premio alla resistenza civile, forse anche un richiamo a chi, in ogni parte del mondo, continua a credere che la pace si costruisca più con la coerenza che con l’ambizione.

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