10 Oct, 2025 - 18:44

Dalle medicina difensiva alla difesa senza medicina: sanità al collasso, ma compriamo armi

Dalle medicina difensiva alla difesa senza medicina: sanità al collasso, ma compriamo armi

C’è un’Italia che muore lentamente, tra corsie ospedaliere spoglie e medici esausti, tra ambulanze senza benzina e pronto soccorso che chiudono per mancanza di personale.

È la sanità pubblica, quella che una volta chiamavamo con orgoglio “il nostro fiore all’occhiello”, e che oggi è ridotta a un malato terminale abbandonato nella sala d’attesa. E mentre il sistema sanitario implode, il governo prepara investimenti record: non per medici, infermieri o strutture... ma per armi.

Sì, avete capito bene: miliardi di euro pronti per missili, carri armati e caccia di ultima generazione. Perché, si sa, se c’è una priorità in un Paese dove la gente muore aspettando un’ecografia, quella è sicuramente comprare un sommergibile.

Ospedali fatiscenti, ma siamo pronti alla guerra

Ogni giorno le cronache raccontano storie di pazienti lasciati su barelle per ore, di reparti chiusi, di anestesisti introvabili. In molte province italiane la guardia medica ormai è un miraggio, e i medici di base spariscono come specie in via d’estinzione.

Per non parlare delle visite e degli sami prenotati con il Sistema Sanitario Nazionale: se hai un cancro, rischi di morire prima che ti venga fissata la Tac.

Intanto, la spesa sanitaria pubblica non cresce, i fondi tagliati negli ultimi dieci anni non vengono reintegrati, e le Regioni arrancano.

Ma non preoccupatevi: in compenso, presto potremo contare su un nuovo sistema missilistico da diversi miliardi di euro. Forse servirà per difendere i cittadini dalle liste d’attesa, oppure per bombardare metaforicamente i bug del nostro sistema sanitario.

Il paradosso è tutto qui: non si trovano i soldi per aumentare gli stipendi al personale medico, ma si trovano sempre — miracolosamente — per potenziare gli arsenali.

La guerra che non c’è, il paziente che muore

Siamo un Paese che non ha una guerra in corso, ma agisce come se fosse in piena mobilitazione bellica. L’unico conflitto vero, però, è quello quotidiano che si combatte nelle corsie sovraffollate, nei consultori chiusi, nei reparti oncologici senza fondi. Una guerra silenziosa, combattuta da medici eroici con strumenti obsoleti e stipendi da fame.

Eppure, le priorità politiche sembrano chiare: si investe per essere pronti allo scenario di guerra globale, ma non si riesce a garantire un banale test cardiologico entro tempi umani. È la nuova dottrina del “benessere armato”: un popolo sotto anestesia sociale, ma potenzialmente blindato.

Ironie di un Paese alla deriva

Immaginate un’Italia dove ogni cittadino, invece della tessera sanitaria, riceva un elmetto e un fucile giocattolo. Dove le campagne di prevenzione spariscano, ma venga introdotta “la settimana della difesa nazionale”. Dove un ministro, davanti a un ospedale che cade a pezzi, rassicuri i cittadini: “Stiamo investendo per la vostra sicurezza... militare”.

È grottesco, ma non così lontano dalla realtà. La politica grida “emergenza sicurezza!”, ma ignora che il vero pericolo è attendere otto mesi per una visita cardiologica. E mentre gli ospedali collassano, cresce la spesa privata: chi può si cura a pagamento, chi non può aspetta o rinuncia. È la sanità a due velocità, quella che divide cittadini di serie A e di serie B, un Paese che cura chi può permetterselo e abbandona chi non può.

L’illusione delle “grandi scelte strategiche”

I politici chiamano “scelte strategiche” gli investimenti in armamenti. Ma la vera strategia, quella che costruisce un Paese, è poter curare i propri cittadini. Forse un giorno ci accorgeremo che un medico formato vale più di cento carri armati, che un pronto soccorso funzionante salva più vite di una fregata da guerra.

Eppure, sembra che la vita non faccia più notizia. Si finanzia la morte potenziale — quella delle guerre future — e si abbandona la vita reale, quella degli anziani soli, dei malati cronici, dei bambini senza pediatra. In fondo, è un curioso paradosso nazionale: vogliamo difendere il Paese, ma non chi lo abita.

Si dice che un Paese civile si giudichi da come tratta i suoi malati e i suoi poveri. Se è vero, allora abbiamo smesso da tempo di essere civili. La sanità pubblica è il termometro morale della nazione, e il nostro segna febbre alta, con prognosi riservata.

Forse dovremmo chiudere i ministeri della Difesa e aprire quelli della Sopravvivenza. Perché di guerra, in realtà, ne abbiamo già una: quella contro l’indifferenza e la logica perversa che scegliere la vita costa troppo, mentre prepararsi alla morte, per qualche strano motivo, conviene.

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