Le disparità di genere nel mercato del lavoro, legate alla “sottoutilizzazione del lavoro e delle competenze delle donne”, rappresentano “un vulnus non solo sul piano della democrazia”, ma anche “un limite strutturale alla crescita del Paese e dell’economia”.
A dirlo è il Gender Policy Report 2025 dell’Inapp, che fotografa il mercato del lavoro italiano e lo stato dell’occupazione femminile: a fronte di miglioramenti, seppur lenti, permangono criticità profonde, al punto che gli “obiettivi di miglioramento e di partecipazione paritaria tra uomini e donne” restano per l’Italia ancora lontani.
Nonostante la riduzione del tasso di disoccupazione femminile, sceso nel 2024 al 7,4%, le donne continuano infatti a partecipare meno al mercato del lavoro rispetto agli uomini e, quando lo fanno, risultano spesso penalizzate sia nelle forme contrattuali sia nel riconoscimento salariale.
Il primo dato che emerge dal Gender Policy Report 2025 dell’Inapp riguarda il diverso numero di occupati: circa 13 milioni gli uomini, poco più di 10 milioni le donne. Sostanzialmente equilibrato, invece, il numero dei disoccupati, con 883 mila uomini a fronte di 802 mila donne. A segnare la distanza più ampia è però il bacino degli inattivi: 4,46 milioni tra gli uomini contro 7,73 milioni tra le donne.
I tassi di occupazione maschili risultano sistematicamente superiori a quelli femminili in tutte le classi di età; al contrario, la disoccupazione e soprattutto l’inattività presentano valori sempre più elevati nella componente femminile.
La criticità emerge con ancora maggiore evidenza se letta alla luce delle disparità territoriali. Nelle regioni del Mezzogiorno — Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia — il tasso di occupazione femminile nella fascia 15-64 anni resta al di sotto del 50%.
A incidere in modo significativo sul tasso di partecipazione al mercato del lavoro è la condizione di genitore, con effetti nettamente differenti tra uomini e donne. In presenza di un figlio fino ai cinque anni di età, il tasso di occupazione delle madri si ferma al 58,3%, contro il 92% dei padri. La genitorialità, dunque, penalizza in maniera marcata la partecipazione femminile al lavoro, mentre non produce effetti comparabili su quella maschile.
Le differenze qualitative che alimentano la disparità di genere riguardano anche gli inquadramenti contrattuali. Le donne rappresentano il 45,3% degli occupati, ma salgono al 50,3% tra i lavoratori con contratto a tempo determinato e scendono al 44,6% tra quelli a tempo indeterminato. In nessuna regione la quota di donne assunte con contratti stabili supera il 50%.
Su tutto il territorio nazionale, i tassi di disoccupazione e di inattività femminili risultano sistematicamente più elevati rispetto a quelli maschili, anche nelle regioni — come Campania, Sicilia e Calabria — dove sono alti anche i livelli di disoccupazione o inattività degli uomini.
La condizione di inattività, inoltre, appare fortemente connotata dal genere. Tra gli uomini sopra i 25 anni è legata prevalentemente a motivi di studio o formazione professionale; tra le donne della stessa fascia d’età, invece, la causa principale è rappresentata dagli impegni di cura. Si tratta complessivamente del 34,2% delle donne inattive, a fronte del 2,5% degli uomini.
I dati sulle nuove assunzioni nel primo semestre 2025 confermano la persistenza di una netta sproporzione di genere: il 41% dei nuovi occupati sono donne, il 59% uomini.
La tipologia contrattuale evidenzia ulteriori disparità. Tra i contratti a termine, la quota di lavoro temporaneo riguarda il 45,9% degli uomini e il 40% delle donne, mentre il part-time incide in misura maggiore sulle donne.
Tra i contratti a tempo indeterminato, sugli oltre 432 mila stipulati dagli uomini il part-time rappresenta il 22%, mentre sui 233 mila delle donne raggiunge il 50%. La stessa tendenza si osserva nei contratti a tempo determinato: il part-time interessa il 33% degli uomini e il 64% delle donne, confermando un divario significativo nelle condizioni di lavoro.
Infine, le retribuzioni mostrano un divario di genere significativo. Secondo i dati Inps, nel 2024 risultano registrate contribuzioni da lavoro per circa 10 milioni di uomini e 7 milioni di donne con contratto di lavoro dipendente. Analizzando la distribuzione dei redditi per genere, le donne prevalgono nelle fasce retributive più basse, mentre la loro quota diminuisce all’aumentare dello stipendio.
Ad esempio, nella classe fino a 5 mila euro annui le donne rappresentano il 47,8% dei lavoratori, contro il 52,2% degli uomini; nella fascia più alta, pari a 80 mila euro e oltre, la situazione si inverte drasticamente: gli uomini costituiscono il 78,7% dei percettori, le donne solo il 21,3%.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *