Aveva 19 anni, lavorava come cameriera e stava per partire per Londra con un biglietto di sola andata, per raggiungere la sorella Vanessa. Giulia Di Sabatino viveva a Tortoreto, in provincia di Teramo: aveva sogni e progetti che si sono infranti per sempre la notte del 1° settembre 2015.
Era il giorno del suo compleanno quando i suoi resti furono trovati sull'autostrada A14, tra i caselli di Mosciano e Val Vibrata.
La prima ipotesi formulata dagli investigatori è che fosse volata giù da un cavalcavia situato sulla provinciale 262, in località Montone: un gesto volontario.
Sono trascorsi oltre dieci anni, ma Giulia non ha ancora avuto giustizia. Ne sono convinti i genitori, mamma Meri e papà Luciano, titolari di una tabaccheria, che da allora si battono per arrivare alla verità sulla tragica scomparsa della loro adorata figlia.
Due indagini della Procura per istigazione al suicidio in relazione alla morte di Giulia sono state entrambe archiviate. Ma la famiglia non ha mai creduto che si sia tolta la vita.
"A volte mi sembra di sentire ancora la sua voce" racconta Meri a TAG24. "Giulia è stata uccisa da qualcuno. Troppe cose non tornano, come evidenziato dai RIS di Roma. Io soffro ogni istante, mi hanno strappato il cuore dal petto. Vado avanti per Vanessa".
La sera del 31 agosto 2015, Giulia era andata per l'ultima volta nel ristorante-pizzeria in cui lavorava come cameriera, situato a pochi passi da casa. Avrebbe voluto cambiare turno per festeggiare il suo 19esimo compleanno con gli amici, ma la madre aveva insistito affinché mantenesse il suo impegno.
Una volta finito il lavoro, intorno alle 23:30, Giulia era rientrata a casa, si era cambiata e truccata, ed era uscita di nuovo, lasciando il cellulare scarico sul tavolo. I genitori l'avevano salutata quella sera, passando dal ristorante: non l'avrebbero più vista in vita.
"Giulia aveva staccato dal lavoro, si era vestita bene e aveva messo il rossetto. Come si fa a credere che una ragazza pensasse a cambiarsi e truccarsi se pianificava di suicidarsi?", spiega Meri, con la voce rotta.
Giulia era stata accompagnata sul cavalcavia da un ragazzo in scooter: lui aveva accettato di darle un passaggio dopo averla incontrata all'esterno del bowling di Tortoreto. Al locale era invece arrivata a piedi, ripresa da una telecamera di videosorveglianza. Ma perché si sarebbe fatta lasciare in quel punto?
All'epoca una super testimone aveva raccontato di aver visto sul ponte una ragazza, che corrispondeva alla descrizione di Giulia, intorno alle 00:10 del 1° settembre. Stava parlando con un individuo di sesso maschile che era seduto all'interno di una Fiat Panda rossa.
A distanza di tre mesi, dopo che il suo DNA era stato ritrovato sugli slip e sui resti della 19enne, quel giovane si era presentato dai carabinieri. Aveva affermato di aver trascorso alcune ore con Giulia a casa sua prima di riportarla sul cavalcavia, come da lei richiesto, intorno alle 4:30 del mattino.
La morte sarebbe quindi successiva a quest'ora. Secondo i familiari, gli elementi emersi farebbero pensare a tutto tranne che si sia gettata nel vuoto.
La posizione dei due giovani, entrambi iscritti nel registro degli indagati, è stata poi archiviata.

Giulia non ha lasciato alcun biglietto d'addio: anzi, dalle ultime ricerche effettuate su Google emergeva solo la sua voglia di cambiare vita e andare a Londra.
Inoltre, secondo i familiari, se avesse davvero scelto di togliersi la vita, perché recarsi in un posto così lontano, vestita elegantemente e truccata, quando avrebbe potuto farlo dal terzo piano della sua casa a Tortoreto?
Mamma Meri elenca alcuni degli elementi evidenziati dagli accertamenti dei RIS di Roma che smentiscono la tesi del gesto volontario.
"Sotto le scarpe di Giulia è stata trovata una sostanza, un fumogeno, spesso usato nei locali o durante le feste. Nonostante il parapetto del cavalcavia fosse completamente arrugginito, da nessuna parte è stata trovata la ruggine: né sotto le sneakers che indossava, né sugli indumenti" spiega Meri.
Un altro elemento che ha portato i genitori a dubitare del suicidio riguarda le impronte delle sue scarpe, trovate su un’asta di ferro del parapetto in una posizione anomala rispetto a quella che avrebbero dovuto avere, se la giovane si fosse arrampicata per buttarsi.
"La nostra ipotesi è che Giulia sia uscita per festeggiare, abbia incontrato delle persone e che poi sia successo qualcosa. Per noi non si è buttata: qualcuno l'ha portata sull'autostrada quando era già morta o svenuta" sostiene mamma Meri.
Dal cavalcavia l'A14 poteva essere facilmente raggiunta a piedi tramite due sentieri laterali, che in quel periodo erano sempre accessibili.
Ci sono ancora troppi punti oscuri nella vicenda della morte di Giulia: ritardi nelle indagini, dettagli rimasti in ombra, domande che attendono risposte.
I genitori, mamma Meri e papà Luciano, chiederanno che il caso venga riaperto per omicidio. Secondo i familiari, elementi fondamentali per comprendere cosa sia davvero accaduto alla figlia sarebbero emersi nel processo — iniziato nel 2018 e tuttora in corso— che vede imputato un 36enne di Giulianova con le accuse di pornografia minorile e induzione alla prostituzione minorile.
All'epoca della morte di Giulia questo ragazzo aveva 26 anni. Con lui la 19enne aveva avuto una frequentazione tempo prima, in un periodo particolarmente fragile e difficile della sua vita.
Il giovane è finito sotto i riflettori degli inquirenti quando, in alcune intercettazioni relative a un’altra inchiesta per presunte tangenti, ha parlato di Giulia in un modo che non è passato inosservato.
Durante le indagini, nella casa di un suo familiare è stato trovato diverso materiale pedopornografico su CD e altri dispositivi elettronici. Foto e video, risalenti al 2013-2014, che ritraevano diverse ragazze— tra cui la stessa Giulia — tutte minorenni all’epoca. Da qui il rinvio a giudizio.
Meri e Luciano si sono costituiti parte civile nel procedimento, ormai alle battute finali, assistiti dagli avvocati Antonio Di Gaspare e Gianfranco Di Marcello. La sentenza di primo grado è prevista per il 15 gennaio 2026.
"Giulia era una ragazza molto sensibile, forse troppo ingenua. Amava trascorrere il suo tempo con la nonna, andava a messa, rispettava la sua famiglia. Me l'hanno uccisa" ripete la madre.
Adele Di Rocco, attivista del Coordinamento Codice Rosso e amministratrice del gruppo Facebook "Verità e giustizia per Giulia Di Sabatino", è stata sempre accanto alla famiglia della 19enne. E ribadisce: "Richiederemo l'apertura del caso in base ai nuovi elementi evidenziati nelle diverse perizie in nostro possesso e alle testimonianze rese in questo processo. Dobbiamo farlo per Giulia".
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *