Yorgos Lanthimos lo ha rifatto. Dopo "Povere creature!" e "Il sacrificio del cervo sacro", il regista greco torna a colpire con "Bugonia", un film che mischia horror psicologico, commedia nera e allegoria sociale in un cocktail ipnotico e disturbante. E sì, anche questa volta il pubblico esce dalla sala con la testa che gira, pieno di domande e teorie da forum di cinefili.
La pellicola, interpretata da una strepitosa Emma Stone nei panni di Michelle Fuller, ci trascina in un gioco perverso tra realtà e paranoia, tra il delirio umano e la fantascienza più bizzarra. Al suo fianco ci sono Jesse Plemons e Stavros Halkias, in una trama che ruota attorno a un rapimento, un’accusa folle e un finale che ribalta completamente la percezione dello spettatore.
"Bugonia" prende spunto dall’antica leggenda della bugonia, secondo cui le api possono rinascere dal corpo in decomposizione di un toro: un’immagine che Lanthimos trasforma in metafora visiva della rinascita (e della distruzione) dell’umanità stessa. Ma andiamo con ordine: Michelle è davvero un’aliena? E perché decide di sterminare l’umanità?
Come da tradizione lanthimosiana, anche in "Bugonia" le location diventano personaggi a tutti gli effetti. Il film è stato girato tra la campagna irlandese e alcune zone industriali dismesse in Grecia, luoghi che sembrano sospesi nel tempo, al confine tra il sogno e l’incubo.
La villa ultramoderna di Michelle è una gabbia di vetro e cemento, simbolo della ricchezza alienante e della distanza tra potere e realtà. Ogni stanza è spoglia, silenziosa, illuminata da luci fredde: l’anti-casa per eccellenza, perfetta per una donna che nasconde segreti cosmici nell’armadio.
Il capanno dove Teddy tiene prigioniera Michelle, invece, è un rifugio fatiscente immerso nei boschi - un ritorno alla terra, alla sporcizia e alla brutalità primordiale. Lanthimos gioca con la contrapposizione visiva tra questi due mondi: il regno sterile del capitalismo e la foresta arcaica della vendetta umana.
Persino i momenti "extraterrestri", con gli alieni di Andromeda, mantengono una fotografia quasi domestica: niente astronavi, niente CGI esagerata. Solo una realtà straniante, come se l’alieno fosse sempre stato tra noi, solo un po’ più ricco, un po’ più distante e infinitamente più potente.
Attraverso questi ambienti, "Bugonia" racconta un mondo che somiglia spaventosamente al nostro. Lanthimos ci sbatte in faccia una domanda feroce: se anche un’aliena decidesse di distruggerci, potremmo davvero darle torto?
Il film si apre con un ritmo lento, quasi ipnotico, in una città fredda e geometrica. Teddy e Don vivono ai margini, due uomini comuni schiacciati da un mondo che non comprendono più.
Teddy è ossessionato da Michelle Fuller, potente CEO di una multinazionale farmaceutica che domina il mercato con un farmaco "miracoloso". Convinto che dietro la sua azienda si nasconda una cospirazione aliena, organizza un piano folle: rapire Michelle e costringerla a confessare la verità.
La missione comincia come una farsa, ma ben presto si trasforma in un incubo claustrofobico. Michelle viene rinchiusa in una casa isolata, interrogata con toni sempre più aggressivi mentre tenta di manipolare i suoi rapitori con calma glaciale e una sottile ironia. Lanthimos gioca con i generi: la commedia assurda si mescola al thriller psicologico e all’horror domestico.
Nel frattempo, attraverso flashback e frammenti visivi, scopriamo che la madre di Teddy è rimasta vittima di una sperimentazione condotta dalla società di Michelle: il farmaco, invece di guarire, ha distrutto vite. Da quel trauma nasce la sua convinzione che Michelle non possa essere umana.
Mentre il film procede, la tensione cresce. Don cerca di mantenere la lucidità, ma è trascinato sempre più nel vortice della follia di Teddy. Michelle alterna momenti di fragilità e freddezza disumana, fino a una confessione ambigua: sì, è un’aliena. O forse no. Il confine tra realtà e delirio si fa sempre più sottile, portando lo spettatore in un labirinto morale dove nessuno è davvero innocente.
Per gran parte del film, "Bugonia" sembra giocare con il dubbio. Teddy (Jesse Plemons) e Don (Aidan Delbis) rapiscono Michelle Fuller, convinti che dietro la sua multinazionale farmaceutica si nasconda un piano extraterrestre per controllare la mente umana. Un’idea che sembra folle, una teoria del complotto da sottoscala di internet.
Eppure, Lanthimos ci tiene in bilico: ogni reazione di Michelle è ambigua, ogni suo sorriso sembra una maschera. Lei nega tutto, poi confessa per disperazione, poi nega di nuovo. Il gioco diventa un ping-pong mentale in cui lo spettatore non sa più da che parte stare.
Il colpo di scena finale, però, spiazza completamente: Michelle è davvero un’aliena, proveniente dalla galassia di Andromeda. Non solo: è l’imperatrice della sua specie, venuta sulla Terra per sperimentare un farmaco capace di ridurre la violenza umana. Una missione "etica" che degenera in un disastro cosmico.
Quando Teddy muore accidentalmente, Michelle rivela la verità ai suoi sudditi attraverso un rituale surreale - comunicando con loro attraverso i capelli (sì, hai letto bene). In un lampo di follia e tristezza, decide che l’esperimento terrestre è fallito: l’umanità è irrimediabilmente corrotta e va eliminata.
Lanthimos gioca con toni grotteschi e tragici allo stesso tempo. Michelle, tra lacrime e calma glaciale, distrugge ogni forma di vita umana sulla Terra, lasciando intatti solo gli animali. È una scena che fa ridere, rabbrividire e riflettere, come solo il regista greco sa fare.
Dietro la trama sci-fi si nasconde però un dramma tutto umano. Teddy, l’uomo che dà il via al rapimento, non è solo un fanatico complottista: ha un passato segnato dal dolore. Sua madre è rimasta in coma dopo aver partecipato a una sperimentazione farmaceutica gestita proprio dall’azienda di Michelle. Il farmaco doveva curare la depressione, ma ha causato la morte di molti partecipanti.
Teddy, ossessionato dall’ingiustizia, non riesce ad accettare che Michelle, così distante e intoccabile nella sua torre di vetro, sia sfuggita a ogni conseguenza. Nella sua mente, solo un essere disumano potrebbe aver permesso tutto questo. E così la trasforma, letteralmente, in un mostro alieno.
Lanthimos usa questa dinamica per colpire dritto al cuore del capitalismo contemporaneo: chi detiene il potere, economico o scientifico, diventa per le persone comuni una figura "aliena", irraggiungibile, incapace di empatia. Eppure il film non assolve nessuno. Teddy, nel suo desiderio di giustizia, finisce per commettere atrocità peggiori di quelle che condanna.
Nella sua furia, diventa l’esperimento stesso: l’essere umano che dimostra quanto la natura umana sia autodistruttiva.
La tragedia tocca il suo picco quando Don, il cugino di Teddy, non regge più il peso morale della situazione e si toglie la vita. È un momento che spezza il ritmo e segna simbolicamente la perdita dell’ultima briciola di umanità rimasta. Dopo di lui, tutto precipita - e Michelle non trova più alcun motivo per credere nella nostra specie.