Una figura enigmatica del cinema europeo viene riportata alla luce a causa della sua scomparsa. Il 25 ottobre 2025 è morto l'attore Björn Andrésen.
Il suo volto etereo, quasi irreale, era diventato un simbolo internazionale quando, ancora adolescente, Luchino Visconti lo scelse per interpretare Tadzio in Morte a Venezia (1971).
La stampa mondiale lo definì allora “il ragazzo più bello del mondo”.
Un titolo che sembrava un dono, ma che con il tempo si rivelò una gabbia, una maledizione: dopo quell’esplosione di fama globale, Andrésen attraversò alternanze di grande visibilità e lunghi ritiri, periodi di sofferenza personale e un rapporto complesso, spesso doloroso, con l’immagine che gli era stata cucita addosso.

Foto tratta dal film Morte a Venezia (1972)
Björn Andrésen era nato il 26 gennaio 1955 a Stoccolma, dove è anche scomparso all’età di 70 anni. Le fonti ufficiali non hanno reso nota la causa della morte, rispettando la volontà di riservatezza dei familiari. Negli ultimi anni, l’attore aveva scelto una vita defilata, lontana dal set e dalle dinamiche dello spettacolo. Aveva preferito uno spazio privato che sentiva, finalmente, come suo.

Foto tratta dal film Morte a Venezia (1972)
Nella vita privata si è trovato ad attraversare momenti intensi e dolorosi. Andrésen ha avuto una figlia, nata da un matrimonio durato cinque anni, e poi morta in tenera età: una ferita che, per sua stessa ammissione, lo ha accompagnato per tutta la vita.
Ha avuto poi un figlio, nato da una compagna rimasta sempre lontana dall’esposizione pubblica, cresciuto con lui a Stoccolma.
Non risultano matrimoni né partner ufficiali negli ultimi anni: la sua esistenza adulta è stata spesso votata alla solitudine per scelta, alla protezione della sfera intima, alla necessità di non essere più “guardato”.
Il documentario autobiografico Il ragazzo più bello del mondo (2021) ha raccontato in modo diretto il suo rapporto con la depressione, con la fama e con la sua stessa fragilità. Ha dovuto presto pagare il prezzo della sua idealizzazione estetica.
Cresciuto a Stoccolma, Andrésen ha vissuto un’infanzia difficile a causa della morte della madre, suicidatasi quando lui era ancora molto giovane. Il ruolo di Tadzio gli è piombato addosso a 16 anni. Gli si sono così spalancate porte del mondo dello spettacolo e, insieme, voragini.
Dopo Morte a Venezia, Andrésen ha avuto successo anche in Giappone, dove si è esibito come cantante pop. Il suo volto androgino ha colpito molto l’autrice di manga Riyoko Ikeda, che si è ispirata a lui per creare il personaggio di Lady Oscar.
Con il tempo, però, quella immagine è diventata una trappola. Desideroso di allontanarsi dalle etichette e dalla percezione di “ragazzo bellissimo” che gli era stata cucita addosso, Andrésen ha iniziato a rifiutare ruoli che potessero basarsi solo sul suo aspetto o che alimentassero ulteriori interpretazioni sulla sua sessualità.
Ha sofferto molto quando Germaine Greer ha usato una sua foto in copertina per il libro Il ragazzo (2003) senza chiedergli alcun permesso: per lui è stato come rivivere ancora una volta l’appropriazione pubblica del suo volto.
Negli anni successivi si è dedicato soprattutto alla musica, suonando il contrabbasso, e ha partecipato solo occasionalmente a serie televisive svedesi. Una scelta che gli ha permesso di recuperare un po’ di spazio personale, lontano da sguardi che lo osservavano, stanco di apparire e di essere considerato solo per il suo aspetto esteriore.
Negli anni Duemila e Duemiladieci è riapparso a intermittenza sullo schermo e, soprattutto, nelle narrazioni su se stesso: interviste, retrospettive, documentari che hanno provato a decifrare ciò che accade quando un volto diventa rappresentazione, e il simbolo diventa un peso.
Il documentario Il ragazzo più bello del mondo, diretto da Kristian Petri e Kristina Lindström, ha fissato per sempre questa parabola: una fase di ascesa, poi di smarrimento, e infine di sopravvivenza.
La storia di un'immagine bellissima e vulnerabile, questa, che per un po' ha preferito allontanarsi, per non essere sempre oggetto dello sguardo altrui.