La mattina del 2 novembre 1975 una signora rinveniva su un terreno dell'Idroscalo di Ostia il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini. Fu subito chiaro che il poeta, regista e scrittore era stato ucciso. Cinquant'anni dopo, c’è un condannato, ma restano tante domande sulla dinamica e i suoi possibili complici.
Ne abbiamo parlato con l'avvocato Stefano Maccioni, che per anni ha assistito il cugino di Pasolini, Guido Mazzon, oggi scomparso, presentando una serie di richieste di riapertura del caso (di cui solo una accolta, nel 2010). Per lui, la verità storica e quella giudiziaria non coincidono.
Secondo la versione ufficiale - quella che emerge dalle sentenze passate in giudicato - Pasolini fu ucciso da un giovane di appena 17 anni che nella notte tra l'1 e il 2 novembre aveva adescato nei pressi della stazione Termini.
Si chiamava Pino Pelosi e frequentava l’ambiente dei “ragazzi di vita”. Quando il corpo del poeta fu ritrovato, era stato da poco fermato alla guida della sua Alfa Romeo GT 2000, confessando di aver perso un anello che sarebbe poi stato ritrovato sulla scena del crimine.
La prima di tante "stranezze" che avrebbero portato alla sua condanna. "La sentenza di primo grado, firmata dal giudice Carlo Alfredo Moro, era ineccepibile: riconosceva la responsabilità di Pelosi, parlando però di concorso con ignoti", dichiara l’avvocato Maccioni.
In appello, tutto cambiò: il quadro venne ribaltato e Pelosi riconosciuto come unico colpevole. I giudici ritenevano in pratica che avesse agito dopo un tentativo di approccio sessuale. "Una ricostruzione illogica e contraddittoria - sostiene il legale - Soprattutto perché le lesioni trovate sul corpo di Pasolini erano incompatibili con l'azione di un singolo aggressore".
"Pelosi, fisicamente minuto, non avrebbe mai potuto colpire in quel modo il poeta - tra l’altro molto atletico - per di più usando gli oggetti ritrovati sulla scena (tra cui una tavoletta di legno logora, ndr). I riscontri medico-legali lo dimostrano", aggiunge.
Nel 2005, si unì a tutto ciò la ritrattazione della confessione da parte di Pelosi, che confidò di non essere stato da solo, quella notte. Nel 2009, la prima richiesta di riapertura delle indagini, accolta un anno dopo "grazie a un'interrogazione parlamentare del ministro Angelino Alfano", spiega Maccioni.
Il punto di svolta fu l'Appunto 21, un capitolo mancante del romanzo "Petrolio", che Pasolini stava scrivendo quando fu ucciso (pubblicato postumo, incompleto). "Marcello Dell'Utri raccontò di essere stato contattato da qualcuno che voleva vendergli quell'appunto inedito - spiega Maccioni - si capì così che attorno all'opera ruotava qualcosa di grande".
Pasolini stava indagando su Enrico Mattei, Mauro De Mauro e sui poteri occulti dell'epoca. In “Petrolio” citava anche Eugenio Cefis. "Il suo omicidio - l'avvocato ne è convinto - si colloca in una stagione di tensioni politiche, segreti e depistaggi. E potrebbe configurarsi come un omicidio politico a tutti gli effetti".
Nonostante il ritrovamento di tre diversi profili di Dna su alcuni reperti del 1975 conservati al Museo Criminologico di Roma, nel 2015 il procedimento venne archiviato.
Non bastò, a tenerlo aperto, neanche il fatto che lo stesso Pelosi avesse praticamente ammesso di aver conosciuto Pasolini ben prima della notte del 1 novembre, accettando di fare da intermediario tra lui e coloro che gli avevano rubato le pizze del film Salò (e che quindi avrebbero potuto attirarlo in una trappola).
Nel 2022, lo stesso Maurizio Abbatino - sodale della Banda della Magliana - accennò, davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia, a questa pista. L'anno successivo, la senatrice Ilaria Cucchi presentò quindi un'interrogazione parlamentare e una proposta di Commissione d'inchiesta, ancora ferma.
Maccioni - nonostante i vari tentativi andati a vuoto - non si è perso d'animo. E, oltre a scrivere un libro sul caso, porterà presto al Teatro Brancaccio di Roma uno spettacolo dal titolo "Pasolini: un caso mai chiuso" con Claudio Pierantoni. "Ci saranno documenti e filmati inediti - anticipa - Alcuni lasceranno il pubblico senza parole".
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