Lorenzo Casini aveva 22 anni quando, il 3 gennaio 2019, fu trovato impiccato con un guinzaglio alla scala a chiocciola che univa i due piani dell'abitazione in cui viveva ad Albarè di Costermano del Garda, nel Veronese. Fu il coinquilino e collega di lavoro a dare l'allarme; meno di due settimane dopo, il caso fu archiviato come suicidio.
Una ricostruzione a cui la madre del ragazzo, Elisabetta, non ha mai creduto. Nel 2023 - dopo una serie di tentativi andati a vuoto - la donna è riuscita a far riaprire le indagini per omicidio e depistaggio contro ignoti. Lo scorso giugno, però, la Procura ha chiesto una nuova archiviazione, a cui lei si è opposta. "Non smetterò mai di lottare", ha dichiarato a Tag24.
L'archiviazione presentata dalla Procura è la quarta in ordine di tempo. A settembre, la madre di Lorenzo si è opposta. "L'udienza è stata fissata per febbraio prossimo - spiega - Poi si vedrà". Secondo lei, sono ancora tanti gli elementi da chiarire sulla morte del figlio, che all'epoca non fu neanche sottoposto a un'autopsia. "Le indagini sono state fatte male, per non dire che non sono state fatte", afferma.
"Lorenzo non si sarebbe mai suicidato per una delusione d'amore", come gli inquirenti hanno concluso.
Quella sera, prese "otto gocce di calmanti che aveva chiesto al coinquilino per dormire". Poi scrisse "alla sua migliore amica, che era con l'ex fidanzato di lui, di raggiungerlo, perché stava male (era allergico al farmaco, ndr), ma lei non lo fece. Avrebbe potuto almeno chiamare me o il 118", spiega Elisabetta. Che aveva quindi presentato una denuncia per omissione di soccorso.
Ora quel fascicolo è chiuso, ma ci sono altre cose, per lei, "che non tornano". Sul guinzaglio sarebbero state rinvenute tracce di due Dna maschili diversi da quello di Lorenzo e le immagini di una telecamera interna all'abitazione sarebbero state artefatte dopo il sequestro. "Cose che andrebbero approfondite", prosegue Elisabetta. "Un figlio non si archivia", sottolinea, facendo intendere che non si arrenderà finché non avrà avuto verità e giustizia.
Ormai tre anni fa, con l'ok dell'amministrazione comunale, Elisabetta ha pitturato di bianco una panchina nel parco Rimembranza di Garda, dedicandola al figlio.
"Sopra c'è un Qr code che riporta a una pagina con la storia di Lorenzo. L'obiettivo è sensibilizzare i giovani contro l'indifferenza, ma anche fare in modo che mio figlio non venga dimenticato", spiega la donna.
Quando parla, non nasconde l'amarezza e la stanchezza, il dolore che da ben sei anni la accompagnano. "Ho cresciuto Lorenzo da sola: era la mia unica ragione di vita", ci confida.
"Lorenzo era un ragazzo sensibile, generoso, altruista. Amava gli animali e aiutare gli altri. Oltre ad essere un volontario della Croce Rossa, dall'età di 18 anni donava il sangue e voleva diventare un infermiere", ricorda la madre.
"Oggi avrebbe avuto 29 anni. Quando guardo i ragazzi della sua età penso a chi sarebbe diventato, a cosa avrebbe fatto. Invece non c'è più, e la sua mancanza si fa sentire ogni giorno".
Qualche settimana fa, Elisabetta ha partecipato alla manifestazione "Lacrime furenti", organizzata a Roma da alcune associazioni attive contro la violenza di genere. Tra i promotori, Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro.
Insieme, hanno presentato in Parlamento delle proposte di legge, tra cui una, in particolare, contro "le archiviazioni frettolose". "Bisogna che si indaghi per bene, che si acquisiscano tutte le informazioni prima di decidere", spiega.
"Forse se le cose fossero state fatte meglio, ora non saremmo a questo punto". Una sensazione, la sua, condivisa dai familiari di molte altre vittime, troppo spesso lasciati soli nelle loro battaglie. "Per me è inconcepibile", conclude Elisabetta. Comunque vada, dice, lei andrà avanti.
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