Mentre il conflitto sanguinoso in Sudan si aggrava, in particolare a El Fasher, capitale del Darfur, il silenzio della comunità internazionale e dei media mainstream di fronte alle uccisioni di massa perpetrate dalle milizie RSF risulta agghiacciante.
Tra esecuzioni sommarie, stupri di massa e deportazioni, l’orrore si consuma senza un’adeguata attenzione globale, dimenticando che la tragedia del Darfur rappresenta una delle peggiori emergenze umanitarie dei nostri tempi.
Il 26 ottobre 2025, le forze paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF) hanno catturato El Fasher dopo un assedio durato oltre un anno e mezzo.
La conquista della città ha segnato la caduta dell’ultima roccaforte dell’esercito sudanese in Darfur, consegnando di fatto all’RSF il controllo dell’intera regione occidentale.
Durante l’offensiva, El Fasher è stata teatro di violenze atroci: esecuzioni sommarie di civili e prigionieri, stupri di massa, saccheggi diffusi e persecuzioni basate sull’etnia e sull’appartenenza familiare indica il carattere sistematico e mirato delle brutalità.
Nonostante il blackout mediatico, satelliti e investigatori indipendenti hanno riportato all’attenzione mondiale prove di massacri sistematici.
????ATROCITY ALERT ????
— Humanitarian Research Lab (HRL) at YSPH (@HRL_YaleSPH) November 1, 2025
1) Most remaining civilians have not fled El Fasher - likely trapped or dead
2) RSF continues mass killings
3) Displaced people visible in Garni, location of reported gross human rights abuses. #KeepEyesOnSudan
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Mentre migliaia di persone fuggono dalla zona, chi resta è intrappolato in un inferno di terrore, privo di vie di fuga sicure o assistenza umanitaria.
Le Rapid Support Forces sono una milizia paramilitare nata dai gruppi armati delle Janjaweed, create e armate dall’ex leader autoritario sudanese Omar al-Bashir, responsabile del genocidio in Darfur negli anni 2000.
Le RSF sono state accusate di numerose violazioni del diritto internazionale, inclusi crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
La continuità storica tra le RSF e i crimini del passato mostra come la violenza in Darfur non sia un episodio isolato, ma il risultato di una lunga impunità.
Il conflitto in Sudan affonda le radici in tensioni etniche, politiche e religiose radicate da decenni.
Il Paese è uno degli stati più etnicamente eterogenei dell’Africa e oltre il 90 per cento della popolazione professa l’islam.
Negli anni 2000, durante il regime di al-Bashir, la repressione di una ribellione tribale nella regione del Darfur portò ad un genocidio che causò circa 300mila morti e milioni di sfollati.
Le ferite di quel massacro non si sono mai rimarginate.
La guerra civile scoppiata nel 2023 rappresenta l’escalation di questi antagonismi storici, aggravata dalle lotte di potere tra esercito regolare e milizie paramilitari come le RSF che frammentano ulteriormente il paese.
La comunità internazionale appare debole e insufficiente nell’affrontare la crisi di El Fasher.
Dopo la caduta della città, le Nazioni Unite e le agenzie umanitarie hanno lanciato allarmi sugli orrori in corso, ma con scarsi risultati concreti.
????The humanitarian community in Sudan condemns in the strongest terms the ongoing attacks by the RSF against civilians, civilian infrastructure and humanitarian workers in and around El Fasher.
— UN OCHA Sudan (@UNOCHA_Sudan) October 28, 2025
❗️We urge the international community to act now.
????️https://t.co/VtEGS8r20M pic.twitter.com/wqh14EmsvT
Nel frattempo, un’indagine dell’Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale ha rivelato prove che indicano “uccisioni di massa sistematiche” su una scala tale che le tracce di sangue erano visibili persino dalle immagini satellitari.
L’attenzione dei media mainstream si è spostata verso altre crisi, e i governi occidentali mostrano una preoccupante indifferenza: le condanne ufficiali, invece, restano deboli e puramente simboliche.
L’escalation di violenze, in particolare contro le minoranze etniche, continua così a essere minimizzata o ignorata.
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