Mustafà Etarazi, muratore marocchino, ha dovuto fare le valigie in fretta. Ha lasciato la sua casa e ha salutato il paese in cui lavorava aveva messo radici da più di dieci anni e se n’è andato via, in silenzio.
Non per una lite, né per lavoro, ma perché a Tromello, un paese di 4000 anime a soli tre chilometri da Garlasco, nella provincia di Pavia, dopo aver trovato alcuni attrezzi dragando il canale e averli consegnati ai carabinieri, qualcuno ha cominciato a chiamarlo “infame”.
Il suo gesto, che per chiunque sarebbe stato un atto di onestà e senso civico, in paese si è trasformato in un marchio. “Io ho solo fatto quello che era giusto”, racconta Mustafà. La sua voce bassa ma ferma e con quel suo sorriso onesto che lo caratterizza. Quella giustizia, però, agli occhi di molti, è diventata un tradimento. E così, tra sguardi storti, mormorii, telecamere abusive puntate verso la sua porta d’ingresso e l’impossibilità di parcheggiare la sua auto al solito posto, la sua vita a Tromello è diventata impossibile.
Oggi Mustafà vive altrove, lontano da quel canale e da quella comunità che non lo ha più voluto. “Non mi pento - dice - ma fa male sapere che la verità ti può rovinare la vita”. La storia di Mustafà racconta molto più di un singolo episodio. È lo specchio di un paese dove la diffidenza può essere più forte della giustizia, e dove chi rompe il silenzio rischia di restare solo.
Non cercava visibilità, Mustafà. Non voleva finire sui giornali né essere al centro di attenzioni che non gli appartengono. Era semplicemente grato di vivere in un paese che lo aveva accolto, che gli aveva dato un lavoro, una casa, una possibilità di costruirsi una vita dignitosa. “L’Italia mi ha dato tanto,” ripete spesso. E proprio per questo, quel giorno, ha pensato che fosse giusto restituire qualcosa, rendersi utile, fare la sua parte. Nessun secondo fine, nessuna voglia di protagonismo, solo il desiderio, sincero, di comportarsi da cittadino onesto.
Certo, viene spontaneo chiedersi se quel ‘Sistema’ di cui oggi tanto si parla, con l’ex procuratore Mario Venditti finito al centro delle inchieste per presunte corruzioni, non continui in qualche modo a proiettare la propria ombra. Intreccio di rapporti, interessi e silenzi che, secondo molti, avrebbe contribuito a chiudere in fretta – decisamente troppo in fretta – le indagini su Andrea Sempio del 2017. Un sistema che non è fatto solo di carte e tribunali, ma anche di sguardi e di paure che si tramandano da un paese all’altro.
Perché nelle campagne tra Pavia e il Ticino, la paura del ‘Sistema’ e la memoria dei fatti non si cancella. Restano sospese nell’aria, insieme ai sospetti, ai mezzi sorrisi e ai silenzi ostinati. una domanda allora è inevitabile: davvero quel ‘Sistema’ è finito o, semplicemente, ha cambiato forma, continuando a serpeggiare invisibile, protetto dall’omertà e dall’abitudine?
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