08 Nov, 2025 - 12:46

L'aggressore della modella sul treno a Milano aveva ottenuto la protezione speciale: i costi sociali del buonismo

L'aggressore della modella sul treno a Milano aveva ottenuto la protezione speciale: i costi sociali del buonismo

L’aggressione subita dalla modella Stephanie A. da parte di un giovane gambiano, già noto alle forze dell’ordine per una lunga serie di precedenti penali, solleva un tema tanto scottante quanto drammaticamente attuale.

Il meccanismo della “protezione speciale” concessa a certi soggetti stranieri, spesso provenienti da contesti di illegalità e recidiva, che si trasforma di fatto in una garanzia di immunità per chi, invece, rappresenta un rischio concreto per la sicurezza pubblica.​

Una storia di folle violenza

Stephanie A., originaria del Brasile e attiva come modella, è rimasta vittima lo scorso lunedì sera di un episodio di violenza brutale nello scompartimento di un treno regionale in servizio sulla linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nei pressi di Arcore.

L’aggressore, un cittadino gambiano di 26 anni, non solo ha infierito fisicamente con pugni, bottigliate, strangolamenti e calci, ma ha anche rivolto insulti e minacce di morte a ripetizione.

La reazione della giovane, che ha pubblicato sui social le foto delle ferite e dell’uomo, si è rivelata fondamentale per l’identificazione del responsabile, in un momento in cui le istituzioni sembrano sempre più titubanti nello schierarsi a tutela delle vittime.​

Protezione speciale o scudo per recidivi?

Ciò che colpisce è che l’autore di questa violenza fosse già sotto “protezione speciale”, una misura decisa da un giudice apparentemente più preoccupato di tutelare i “diritti” dell’aggressore che la sicurezza della comunità che lo accoglie.

Ma a cosa serve la protezione speciale quando chi la riceve porta con sé un curriculum criminale? Il paradosso diventa evidente nel momento in cui soggetti con precedenti vengono “protetti” anziché rimpatriati o trattenuti.

Questa tendenza, frutto di una certa cultura giuridica e politica che interpreta l’accoglienza come principio assoluto, finisce per scaricare il costo umano di tali scelte sulle vittime innocenti.​

Sicurezza ignorata: un problema di Sistema

I dati parlano chiaro: la criminalità commessa da clandestini o soggetti “protetti” cresce in maniera direttamente proporzionale all’assenza di controlli e alla presenza di deroghe giudiziarie che paralizzano il lavoro degli agenti di polizia.

È lecito chiedersi quale sia la ratio di una giustizia che da una parte riconosce la pericolosità di certi individui e dall’altra li mette in condizione di nuocere ancora. 

In questa vicenda, come in molti altri casi analoghi, il sistema di protezione speciale si rivela l’ennesima trappola burocratica che, camuffata da rispetto dei diritti umani, si traduce nell’impossibilità di prevenire il danno.​

I costi sociali del buonismo

Non si tratta, evidentemente, di criminalizzare l’immigrato in quanto tale, ma di sottolineare la necessità di distinguere tra chi arriva in Italia mosso dal desiderio di integrarsi e chi, invece, rappresenta una minaccia.

La propaganda progressista ha a lungo raccontato le politiche migratorie come un “grande abbraccio” che eleva l’Italia a modello di solidarietà.

Peccato che, nei fatti, quel presunto abbraccio si trasformi troppo spesso in una coltellata per chi si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.​

La manica larga della Magistratura 

Il caso mette in luce una doppia responsabilità: quella della magistratura, che concede protezioni speciali con una leggerezza disarmante, e quella di una certa sinistra che, ostinatamente, lega le mani alle forze di polizia e agli apparati di giustizia, rendendo impossibile espellere chi commette reati gravi.

Il risultato è una società dove la tutela della vittima passa necessariamente in secondo piano rispetto alla tutela “ideologica” di chi delinque.​

Quella di Stephanie A. non deve diventare un episodio tra i tanti. Serve una profonda revisione dei criteri di concessione della protezione speciale: chi ha precedenti penali, chi si è già reso protagonista di comportamenti violenti, deve essere immediatamente rimpatriato o, quantomeno, privato di ogni misura che ne faciliti la permanenza sul territorio.

Solo così sarà possibile restituire alla giustizia il suo significato originario e alla società l’idea che lo Stato è capace di proteggere davvero i suoi cittadini.​

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