11 Nov, 2025 - 16:25

Il cluster zero ignorato: così si condannò l’Italia al lockdown? Le rivelazioni del pm che indagò sul Covid

Il cluster zero ignorato: così si condannò l’Italia al lockdown? Le rivelazioni del pm che indagò sul Covid

“L’importante era capire se questo cluster poteva essere bloccato”.

Il cluster in questione è il primo in assoluto dell’emergenza Covid in Italia, quello che tra i primi di febbraio 2020 e i primi di marzo dello stesso anno si diffuse tra Nembro e Alzano nella bergamasca e poi si allargò in maniera fulminea in tutta la Lombardia.

Si poteva bloccare la diffusione del contagio ed evitare non solo le centinaia di morti registrate nella bergamasca, ma anche il contagio dell’intera nazione?

A porsi questa domanda fu – in un’Italia ancora in lockdown – la Procura della Repubblica di Bergamo che aprì un’inchiesta per il reato di epidemia colposa.

La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla gestione della emergenza Covid-19 ha ascoltato oggi – martedì 11 novembre 2025 – l’allora procuratore capo presso il tribunale di Bergamo, Antonio Chiappani.

Un’audizione che ha aggiunto nuovi interrogativi e dubbi sulla possibilità che a condannare il Paese a vivere una delle più gravi emergenze sanitarie della sua storia moderna, possa essere stata una tragica catena di errori e sottovalutazioni.

Ecco cosa ha rivelato il magistrato che ha coordinato l’inchiesta per epidemia colposa per il Covid-19.

Piano dimenticato, alert Oms sottovalutato: l'inchiesta sulla tragedia di Nembro e Alzano

Il procuratore capo di Bergamo ha ricostruito in maniera minuziosa l’inchiesta nata con l’obiettivo di capire l’efficacia della prima reazione messa in atto dalle autorità sanitarie per arginare il contagio da Covid-19, nelle primissime settimane dopo il primo alert dell’OMS, nonché per l’individuazione di eventuali responsabilità.

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“L’inchiesta non aveva per oggetto la ricerca di una responsabilità medica colposa, perché non c’era ancora una cura, ma il livello di preparazione e gestione del rischio pandemico dopo l’alert del 5 gennaio 2020. L’oggetto dell’inchiesta era l’eventuale omesso impedimento al diffondersi della pandemia”.

Ha spiegato Chiappani.

Le date sono importanti per inquadrare la vicenda: il 4 gennaio 2020 è stato diffuso l’alert dell’OMS; il 4 marzo per la Procura era già in atto una pandemia conclamata; il lockdown generalizzato è stato imposto il 9 marzo 2020. 

L’inchiesta della Procura di Bergamo si è concentrata all’interno dei fatti accaduti in questo breve arco temporale, per capire come il primo grande focolaio pandemico abbia potuto diffondersi su tutto il territorio bergamasco, sulla possibilità di contenimento e sulla mancata istituzione della zona rossa tra Nembro e Alzano. 

La domanda regina era, ed è tutt’oggi: questo cluster poteva essere bloccato e contenuto? E se sì, cosa non ha funzionato nella catena di comando e controllo?

Chiappani ha chiarito che l’indagine voleva capire quali erano state le azioni poste in essere dalle autorità sanitarie a tutti i livelli per affrontare il rischio pandemico. 

Zona rossa? Non si sapeva chi doveva deciderlo

Cosa poteva essere fatto e non è stato fatto?

Dalla relazione del procuratore capo di Bergamo emergono essenzialmente due criticità che si possono individuare come possibili cause del degenerare della situazione: la mancata applicazione del piano pandemico del 2006 e la sottovalutazione dell’alert dell’OMS del 5 gennaio 2020.

In quell’alert – come evidenziato da Chiappani – veniva detto di applicare le procedure diramate nel 2014, in seguito all’epidemia di peste suina, per i cluster localizzati. Procedure che erano indicate anche nella fase 2 (livello 4) del piano pandemico del 2006.

Nello specifico, le prime tre fasi del piano potevano essere attivate e avrebbero potuto – secondo Chiappani – dare determinati frutti. 

La mancata applicazione del piano pandemico avrebbe anche creato una “grande confusione” nella definizione della catena di comando, che ha determinato quella che il procuratore di Bergamo ha definito una “frammentazione di responsabilità”.

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“Era difficile anche stabilire a quale autorità spettasse la decisione di istituire la zona rossa”.

Ha evidenziato Chiappani.

La mancata applicazione del piano avrebbe anche determinato la mancata adozione dei protocolli di prevenzione, già utilizzati nei periodi epidemici precedenti, come era stato suggerito dall’alert dell’OMS.
Ci sarebbe stata, secondo Chiappani, “una sottovalutazione del rischio pandemico da parte di chi aveva ricevuto anche questa sollecitazione”.

La sollecitazione era l’alert dell’OMS che “è qualcosa che doveva mettere in allerta”, ma che in Italia è stato recepito – come svelato nella commissione di oggi – solo il 9 gennaio perché in Italia c’era il ponte dell’Epifania.

Recepire e attuare tempestivamente le raccomandazioni contenute nell’alert e attivare le fasi del piano pandemico, avrebbe forse cambiato il destino della pandemia in Italia. 

Il pm che indagò sulla strage di Bergamo? La sinistra non vuole ascoltarlo

L’audizione del dottor Chiappani è stata preceduta da accese polemiche e scambi di accuse tra maggioranza e opposizione. In una nota diffusa stamane, i parlamentari di Fratelli d’Italia hanno accusato M5S e Pd di voler impedire al magistrato di Bergamo di intervenire in Commissione.

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Oggi i commissari di Pd e M5s si sono opposti all’audizione dell'ex procuratore capo di Bergamo, il dott. Antonio Chiappani, chiamato dalla commissione Covid a riferire in merito all'indagine condotta nella Bergamasca per epidemia colposa. Un vero e proprio attacco alla magistratura da parte dell’opposizione, che fuori dai Palazzi difende i pm, ma poi vorrebbe impedire loro di essere ascoltati da una commissione d'inchiesta. 

Nella nota il centrodestra accusa il centrosinistra di non voler arrivare alla verità. 

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“Se da un lato c’è chi lavora per arrivare alla verità, dall’altro c’è una sinistra terrorizzata che tenta in tutti i modi di nasconderla.
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