12 Nov, 2025 - 17:45

Caro spesa +25% in 4 anni: il conto salatissimo delle scelte dell’Ue e della BCE lo pagano sempre le famiglie

Caro spesa +25% in 4 anni: il conto salatissimo delle scelte dell’Ue e della BCE lo pagano sempre le famiglie

Dal mercato della frutta di Firenze alle decisioni della BCE, la distanza tra la realtà vissuta dagli italiani e le dichiarazioni delle istituzioni europee appare oggi molto evidente.

Recentemente, Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, commentando l’andamento dei prezzi ortofrutticoli, ha sottolineato che - seppur ancora elevati - gli aumenti sono stati inferiori rispetto a due anni fa. Una valutazione che ha suscitato reazioni contrastanti.

I dati pubblicati oggi dall’ISTAT mostrano tuttavia un quadro diverso e più preoccupante. Tra ottobre 2021 e ottobre 2025, i prezzi alimentari in Italia sono aumentati del 24,9%, un incremento superiore all’inflazione generale, ferma al 17,3%.

Un aumento significativo per le famiglie italiane, in particolare per quelle a reddito più basso.

Spesa alimentare, +25% in quattro anni: l’austerità europea pesa sulle famiglie italiane

Il ruolo della BCE e dell’Unione Europea nelle dinamiche dei prezzi alimentari è centrale. L’aumento registrato deriva da cause precise: l’aumento dei costi energetici, la crescita del prezzo dei fertilizzanti e delle materie prime hanno inciso sui costi di produzione.

Secondo diversi analisti, le politiche monetarie restrittive attuate da BCE e UE, pur mirate a contenere l’inflazione, non hanno frenato in modo efficace l’aumento reale dei prezzi al consumo.

In molti, negli ultimi anni, anche alla luce delle difficili congiunture geopolitiche hanno chiesto, senza tuttavia essere ascoltati, l’abbassamento del costo del denaro per aumentare la competitività del sistema.

Le conseguenze dirette di queste politiche si ripercuotono sui prezzi dei beni di consumo, che continuano ad aumentare, impoverendo ulteriormente i cittadini europei.

I beni alimentari rappresentano oggi oltre un quinto della spesa totale delle famiglie italiane, una quota che risulta ancora più rilevante per le fasce a basso reddito. L’aumento dei prezzi ha dunque un impatto immediato sul potere d’acquisto, con conseguenze sociali rilevanti che sembrano essere poco considerate dalle istituzioni europee.

Gli effetti della crisi energetica e i rincari strangolano l’agroalimentare italiano

Il settore agricolo italiano è fortemente dipendente dall’energia e dai fertilizzanti per garantire la produzione di beni alimentari.

L’aumento dei costi energetici legati al conflitto tra Russia e Ucraina ha, quindi, fatto lievitare direttamente i costi di produzione, mentre l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti ha aggiunto un ulteriore elemento di pressione inflazionistica sui costi finali dei prodotti ortofrutticoli e alimentari in generale.

Il ruolo della BCE in questo contesto è duplice. Da un lato, la sua politica monetaria restrittiva - come denunciato da più parti - ha contribuito ad aumentare i costi finanziari per le imprese agricole e per le aziende della filiera alimentare, riducendo così la loro capacità di investimento e di assorbimento degli shock di prezzo.

Dall’altro, nonostante le misure restrittive, l’inflazione nei beni alimentari è rimasta elevata, evidenziando una scarsa efficacia delle strategie adottate nel controllo dei prezzi essenziali per la vita quotidiana delle famiglie.

L’impatto drammatico sulle famiglie italiane a basso reddito

Secondo i dati ISTAT, i beni alimentari rappresentano oggi oltre un quinto della spesa totale delle famiglie italiane, con un peso ancora più rilevante per quelle a basso reddito, dove la quota dedicata al cibo raggiunge valori ben più elevati rispetto alla media nazionale.

La rigidità della domanda di questi beni, che sono necessari e non possono essere sostituiti facilmente, fa sì che ogni aumento di prezzo si traduca immediatamente in una perdita di potere d’acquisto, riducendo la capacità delle famiglie di far fronte ad altre spese essenziali.

Questo aumento del costo della vita alimentare non si limita quindi a un problema economico, ma assume connotati sociali importanti, aggravando le disuguaglianze e contribuendo a fenomeni in crescita come la povertà alimentare e la marginalizzazione sociale.

Associazioni come Codacons e Adoc denunciano apertamente come, a crisi energetica e guerra in Ucraina concluse o stabilizzate, i prezzi non siano tornati ai livelli pre-crisi, suggerendo una speculazione conclamata lungo le filiere.

Dal punto di vista politico ed economico, è evidente come il quadro europeo favorisca logiche di mercato distanti dalla realtà quotidiana delle famiglie italiane. Non solo gli interventi di politica monetaria risultano inadeguati, ma le politiche fiscali e sociali dell’Unione, incapaci di flessibilità o di un approccio mirato alle fasce fragili, contribuiscono a un impoverimento sistemico del paese.

La crisi del costo della vita nel comparto alimentare può essere interpretato come la cartina di tornasole di una Unione Europea incapace di tutelare i propri cittadini più vulnerabili. 

 

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