17 Nov, 2025 - 14:51

Meloni e Schlein: il patto segreto che ferma Conte, blocca Silvia Salis e blinda il 2027

Meloni e Schlein: il patto segreto che ferma Conte, blocca Silvia Salis e blinda il 2027

Quando la politica si veste di moralità, spesso nasconde un calcolo.

Dietro l’emendamento bipartisan approvato in Commissione Giustizia – quello con cui Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno riscritto la norma sul consenso (“senza libero consenso è violenza sessuale”) – c’è molto di più di una convergenza sui diritti delle donne. A leggere tra le righe, si tratta di una mossa a due teste per ridefinire i pesi del potere nel futuro che verrà.

L’accordo tra le due leader, raccontano fonti di entrambi gli schieramenti, non è nato nei corridoi del Parlamento ma al telefono, tra un WhatsApp e una chiamata riservata. Il tema è alto, simbolico, ma il sottotesto è squisitamente politico.
Meloni e Schlein hanno scoperto che, pur da fronti opposti, condividono un obiettivo: contenere gli ingombranti ritorni. 

La Premier deve blindarsi contro la possibile discesa in campo di un erede di Silvio Berlusconi

La premier deve blindarsi contro un possibile “effetto dinastico Berlusconi” (con Marina o Pier Silvio che potrebbero ereditare l’aura del Cavaliere), mentre la segretaria dem punta a bloccare la scalata silenziosa di Silvia Salis e le ambizioni di Giuseppe Conte, che da mesi accarezza l’idea di un clamoroso ritorno a Palazzo Chigi nel 2027.

La convergenza, apparentemente casuale, diventa allora una strategia a due corsie. La proposta di inserire il nome del candidato premier sulla scheda elettorale – cavallo di battaglia meloniano – ora piace anche a Schlein.
Motivo? Serve a entrambe per chiudere i conti interni e blindare le rispettive leadership.

Nel Partito Democratico, il clima è da partita a scacchi. Schlein sente il fiato sul collo della minoranza interna e teme che l’ascesa di Salis, la sindaca di Genova con un profilo più moderato e “presidenziale”, possa attrarre gli ex dalemiani e la corrente Franceschini–Orlando–Speranza.
Così prepara il contropiede: anticipare a gennaio 2026 le primarie e il congresso, prima che l’opposizione interna trovi un candidato alternativo. Un blitz di partito, con il popolo della Cgil di Landini a fare da scudo e da volano.

Il patto con Meloni le serve anche per alzare il profilo istituzionale, mostrarsi come “l’unica interlocutrice possibile” per la premier.
Il messaggio è chiaro: se la presidente del Consiglio deve parlare con qualcuno dell’opposizione, parla con me, non con Conte e nemmeno con Salis.

Dall’altra parte del Tevere, Meloni osserva e sorride. L’operazione le torna comoda: istituzionalizza la sua leadership, trasforma l’accordo in un precedente politico e, soprattutto, rafforza il premierato di fatto, anche senza riforma costituzionale.

Nome del candidato premier sulla scheda per blindare il consenso personale

Il nome del candidato premier sulla scheda, infatti, sarebbe una blindatura del consenso personale: un messaggio per i possibili “eredi” del Cavaliere, e per chi sogna di riaprire i giochi nel centrodestra.
“Giorgia è intoccabile – sussurra un ministro – finché resta lei a guidare la nave, nessuno potrà permettersi di salire sul ponte.”

Nel frattempo, la premier coltiva la sua immagine da madre e garante, dialogando con la leader dem su un tema che unisce il Paese: la lotta alla violenza contro le donne. Un terreno ideale per mostrare fermezza e sensibilità, due tratti che Meloni sa dosare con precisione politica.

Dietro le quinte, però, le due donne giocano partite parallele.
Schlein tenta di sventare il rischio di una sfida congressuale anticipata da Salis e di disinnescare Conte, il quale continua a flirtare con pezzi del mondo cattolico e della sinistra radicale.
Meloni, dal canto suo, costruisce la narrativa del governo stabile, forte e personale, e teme solo una variabile: una discesa in campo “di famiglia” nel centrodestra.

Dietro le quinte si giocano partite parallele

È per questo che, al netto dei sorrisi istituzionali, l’asse Meloni–Schlein è tanto pragmatico quanto spietato.
Entrambe vogliono controllare il campo, definire le regole prima che arrivi la prossima campagna elettorale.

Dietro la parola “intesa bipartisan” si nasconde una verità molto più cruda: una tregua tattica tra due leader che si legittimano a vicenda.
Per la sinistra, Schlein resta la faccia del rinnovamento; per la destra, Meloni è la garanzia della continuità.
Ma in entrambi i casi, l’obiettivo è lo stesso: scrivere il proprio nome sulla scheda e sul futuro.

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