Aveva 26 anni quando, nel novembre 1991, fu condannato alla pena dell'ergastolo per una strage che non aveva commesso. Beniamino Zuncheddu, oggi 61enne, dal 2024 è un uomo libero, ma vive ancora sotto il peso di quello che ha subito, nell'attesa di un risarcimento che lo Stato sta tardando a riconoscergli.
Zuncheddu era stato accusato di aver ucciso tre pastori e di aver tentato di ucciderne un quarto nell'esecuzione di un agguato nell'ovile di proprietà della famiglia Fadda a Sinnai, vicino Burcei, nel Cagliaritano.
Contro di lui, la testimonianza dell'unico sopravvissuto, che in un contestatissimo interrogatorio con i carabinieri - davanti alla foto mostratagli da un militare - lo aveva additato come colpevole.
Nel novembre 1991, fu condannato in primo grado all'ergastolo. L'anno successivo la sentenza divenne definitiva. "Mi è caduto il mondo addosso", racconta ora a Tag24.
"Quando sei innocente e ti condannano, vedi tutto nero, tutto buio. Non capisci più niente". Dalla sua, aveva la comunità di Burcei. "Sapevano che persona ero. Non hanno mai creduto all'immagine che l'ingiustizia aveva dato di me".
Due raccolte firme, solidarietà e sostegno costanti non sono comunque bastati a fermare la macchina giudiziaria: per arrivare alla verità sarebbero serviti 33 anni.
Nel gennaio 2024, dopo decenni di battaglie legali, Zuncheddu è stato assolto definitivamente. Di quel giorno ricorda soprattutto la confusione. "C'era tantissima gente, perché più della metà del paese mi aveva accompagnato a Roma", racconta.
"Sapevo già di essere innocente, e sapevo che l'avvocato Mauro Trogu aveva raccolto molte cose". Stesso ottimismo che lo ha accompagnato negli anni bui della detenzione. "Continuavo a pensare che prima o poi avrei dimostrato la mia innocenza, vivevo per quello", dice.
La libertà, però, non ha coinciso per lui con un ritorno alla normalità. Oggi, a 61 anni, Zuncheddu non ha un lavoro, né aiuti, e ha dovuto rimettersi in gioco in un mondo completamente cambiato rispetto a quello che aveva lasciato.
"Se devi pagare una bolletta, lo Stato te la mando subito", spiega. "Ma quando deve pagare lui, si dimentica. Io sono stato sequestrato per 33 anni e ora devo chiedere aiuto ai miei familiari per vivere. Mi sento un peso".
Proprio per evitare che altre persone subiscano ciò che ha subito lui - prima la detenzione ingiusta, poi l'abbandono materiale - insieme al Partito Radicale e ad altre famiglie colpite da errori giudiziari, come quella di Enzo Tortora, Zuncheddu si è fatto promotore di una proposta di legge di iniziativa popolare.
L'obiettivo è introdurre una provvisionale economica immediata per chi viene assolto dopo una misura cautelare ingiusta, un assegno mensile che accompagni la persona dal giorno dell'assoluzione fino all'arrivo del risarcimento del danno, che oggi può richiedere sei, sette, perfino dieci anni.
"Quando entri in carcere perdi tutto e quando esci in molti casi hai bisogno di andare a rubare", spiega. Un circolo vizioso che egli vorrebbe spezzare. "Io sono stato fortunato, ma voglio impegnarmi per gli altri", aggiunge. Per sostenerlo, sono attivi in tutta Italia punti di raccolta firme.
Bisogna raggiungerne 50mila per portare il testo in Parlamento. "È un sacrificio enorme, ma necessario", ripete Zuncheddu. Intanto, si gode ciò che gli è stato per tempo negato: "Sono felice - dice - perché posso finalmente aprire la porta di casa e uscire quando voglio". La libertà, per lui, è sentire il sole sulla pelle, nella sua amata Sardegna.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *