La gestione del caso dell'ex Ilva potrebbe costare la poltrona al ministro del Made in Italy, Adolfo Urso.
Questo almeno è quanto chiedono a gran voce le opposizioni di centrosinistra, oltre naturalmente all'onnipresente richiesta di informativa della premier Giorgia Meloni in Parlamento.
A infiammare ulteriormente una situazione già bollente è arrivata la decisione del Mimit di convocare un tavolo di crisi escludendo lo stabilimento di Taranto. Il confronto, per ora, riguarderebbe solo gli impianti siderurgici del Nord.
Non è la prima volta che il ministro Urso diventa bersaglio delle stilettate dell'opposizione.
È successo di recente per la crisi dell'automotive, ad esempio. In generale, tuttavia, l'industria italiana non vive un momento particolarmente florido e l'attuale ministro è inevitabilmente il parafulmine delle critiche e delle recriminazioni.
La decisione del Mimit di convocare un incontro a Roma il 28 novembre solo per i siti siderurgici del Nord ha scatenato proteste a Taranto, con blocchi stradali da parte degli operai ex Ilva.
I lavoratori chiedono garanzie per il futuro occupazionale e ambientale del sito, mentre il clima resta teso e le proteste proseguono con presidi e scioperi a oltranza.
A far salire alle stelle la tensione tra governo, sindacati e opposizione ci aveva già pensato il fallimento del tavolo negoziale tra governo e sindacati, lo scorso 17 novembre.
Dopo una lunga riunione a Palazzo Chigi, le organizzazioni sindacali hanno dichiarato la rottura della trattativa per l’assenza di risposte concrete alle loro richieste.
Il governo ha confermato un piano che prevede il passaggio in cassa integrazione per 6mila lavoratori, considerato un vero e proprio "piano di chiusura" da sindacati quali Fim, Fiom e Uilm, che hanno subito proclamato uno sciopero di 24 ore a partire dal 19 novembre.
Il ministro Urso ha, quindi, convocato per il 28 novembre un tavolo di crisi per tentare di ricucire i rapporti ma ha aperto un nuovo fronte di scontro poiché dal tavolo sarebbe stato escluso lo stabilimento pugliese.
Dopo le proteste e le forti pressioni sindacali, il ministro Adolfo Urso ha fatto marcia indietro convocando anche il sito di Taranto al tavolo di crisi previsto per il 28 novembre a Palazzo Piacentini a Roma.
L’incontro unitario vedrà la partecipazione delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali dell’ex Ilva, dei rappresentanti delle Regioni Puglia, Liguria e Piemonte, oltre agli Enti locali interessati. Saranno presenti anche il ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone e altri rappresentanti ministeriali competenti.
Questa decisione segue la protesta e le richieste avanzate dalle segreterie sindacali di Taranto e dal presidente della Regione Puglia, a sottolineare l’importanza di includere tutte le aree coinvolte nella gestione della crisi industriale.
L’incontro si terrà subito dopo la riunione dedicata agli stabilimenti del Nord, senza soluzione di continuità, per cercare una soluzione coordinata alla difficile situazione dell’ex Ilva.
Questa la situazione attuale su cui si inseriscono le accuse del centrosinistra, unito nel chiedere le dimissioni del Ministro del Made in Italy stigmatizzando, inoltre, la decisione di non convocare Taranto al tavolo del 28 novembre.
Il senatore Pd Francesco Boccia accusa apertamente il ministro Urso, sostenendo che “sta portando l’ex Ilva verso la chiusura” e denunciando un “fallimento” senza piano né risorse concrete.
Boccia invita la premier Giorgia Meloni a “assumersi la responsabilità politica” e a coinvolgere subito Taranto nel tavolo nazionale, senza escluderla.
Tino Magni di Alleanza Verdi e Sinistra definisce “grave” la scelta di convocare un tavolo solo per i siti del Nord, escludendo Taranto, e sottolinea che “solo l’intervento pubblico può scongiurare la chiusura definitiva” e poi attacca Urso:
Raffaella Paita di Italia Viva chiede esplicitamente che “Meloni cacci Urso e venga in Aula a spiegare la situazione”, sottolineando la totale incapacità del ministro nel gestire la vicenda.
Anche Matteo Renzi di Italia Viva ribadisce che “la maggiore necessità che ha Taranto è che Adolfo Urso vada a casa”.
Queste richieste di dimissioni di Urso rappresentano il cuore delle critiche politiche in un contesto di forte tensione e mobilitazione sindacale sul futuro dello stabilimento siderurgico.
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