È stata una giornata confusa ieri in Parlamento, dove il tema della stretta sulla vendita della cannabis light è tornato, anche se brevemente, al centro dei lavori. Fratelli d’Italia ha infatti prima presentato e poi ritirato un emendamento che avrebbe ripristinato il commercio della cannabis light, in particolare delle “infiorescenze fresche o essiccate e dei derivati liquidi”.
La proposta non è stata concordata con Palazzo Chigi, che ha rapidamente imposto lo stop, costringendo i parlamentari di Fratelli d’Italia a smentire se stessi. Un cortocircuito, indubbiamente, che ha provocato grave imbarazzo nel partito della premier. Sul tema della cannabis light restano, dunque, in vigore le restrizioni previste dalla legge Sicurezza.
Ma ripercorriamo l’accaduto. Ieri, il senatore di Fratelli d’Italia Matteo Gelmetti ha presentato un emendamento alla manovra per introdurre un’imposta del 40% sulle “infiorescenze fresche o essiccate e sui derivati liquidi” della cannabis light destinati all’uso “da fumo o da inalazione”, affidando all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli il compito di definire le modalità di vendita.
La mossa ha subito fatto esultare le opposizioni, che hanno letto nell’iniziativa una retromarcia del Governo rispetto alla stretta introdotta con la legge Sicurezza, fortemente contestata nei mesi scorsi.
L’emendamento sarebbe stato presentato dal partito di maggioranza per riammettere la vendita dei prodotti banditi ed evitare una pronuncia della Corte costituzionale, che a breve dovrà esprimersi sulla legittimità dell’articolo 18 del decreto Sicurezza, la norma che ha introdotto un divieto assoluto per tutte le attività legate alla produzione, alla vendita e alla commercializzazione dei fiori di canapa, senza più distinguere tra usi leciti e illeciti.
Lo stop imposto da Palazzo Chigi all’emendamento ha però fatto saltare completamente l’operazione. Secondo le ricostruzioni di Repubblica, il Governo aveva infatti già espresso la propria contrarietà all’emendamento con un parere negativo, trasmesso al Mef lo scorso 3 novembre, concertato con il Ministero dell’Interno e con quello della Salute.
Nulla di fatto, dunque: le speranze degli imprenditori che in questi anni hanno investito nella filiera della canapa restano dunque appese alla sentenza della Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi dopo che il Tribunale di Brindisi ha sollevato la questione di legittimità dell’articolo 18 che ha imposto lo stop al mercato.
Le critiche non si sono fatte attendere: la fuga in avanti e la successiva retromarcia di ieri hanno attirato su Fratelli d’Italia una pioggia di attacchi da parte delle opposizioni. Secondo Riccardo Magi, segretario di +Europa, “siamo alle comiche”. Marco Furfaro, in un post su Facebook, ha parlato di “follia totale, una retromarcia della retromarcia” che fotografa “l’incompetenza” con cui il Governo sta “scrivendo la legge di bilancio”, una gestione che — avverte — ricadrà su “decine di migliaia di giovani imprenditori e lavoratori del settore”.
Il mercato della canapa industriale si è aperto in Italia con l’approvazione della legge 242/2016, che riconosce la Cannabis Sativa L. come coltura “in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo di suolo, della desertificazione e della perdita di biodiversità”.
La norma ha autorizzato, per finalità agricolo-industriali, le coltivazioni con un contenuto complessivo di THC — il principale composto psicoattivo della cannabis — non superiore allo 0,2%, con una soglia di tolleranza fino allo 0,6%.
La legge del 2016 ha lasciato tuttavia una zona grigia, perché non ha disciplinato la vendita dei fiori destinati all’inalazione. Le infiorescenze, in altre parole, non sono state né vietate né autorizzate dal legislatore. Ed è proprio grazie a questo vuoto normativo che il mercato è esploso, seppur nell’incertezza.
Nel 2019 la Cassazione a Sezioni Unite, è intervenuta sulla materia stabilendo che la vendita di cannabis light — foglie, infiorescenze, resina, olio — costituisce reato, salvo che il prodotto sia privo di efficacia drogante. Le associazioni di categoria hanno duramente protestato: la sentenza mette in ginocchio la filiera, crea ulteriore confusione e di fatto affossa il settore. Il Parlamento, da allora, non è mai intervenuto per colmare il vuoto normativo.
È con il governo Meloni che, infine, viene operata la stretta definitiva. Nel 2023 il ministro della Salute Orazio Schillaci firma un decreto che inserisce i prodotti orali a base di CBD nella tabella degli stupefacenti, decreto poi sospeso dal Tar del Lazio. La stretta, però, arriva con l’articolo 18 della legge Sicurezza che, dopo un iter parlamentare controverso, viene approvata il 10 giugno 2025.
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