Proseguono i tumulti e le agitazioni a Colombo, capitale dello Sri Lanka, posta sotto assedio dai manifestanti anti-governativi a causa della dilagante crisi economica.
I manifestanti anti-presidenziali dello Sri Lanka hanno dichiarato di voler abbandonare la residenza di Gotabaya Rajakapsa, il leader di Colombo scappato alla Maldive per evitare il linciaggio popolare:
Sembra quasi un miracolo che il bollettino degli scontri che hanno riguardato la capitale negli ultimi giorni parli di un solo decesso, a fronte però di un centinaio di feriti a causa dei gas lacrimogeni. Diverse anche le perdite momentanee tra le forze dell'ordine, impegnate a contrastare una vera e propria marea che schiuma rabbia. Si attende ora di capire se i vertici del Paese abbiano intenzione di aprire i colloqui con i rappresentanti della protesta. Tutto nasce dalla grave crisi economica che attraversa il Paese, sfociata con i furenti disordini delle ultime settimane. Al momento il premier Wickremesinghe, che è rimasto in patria, si occupa di portare avanti la situazione in un clima sociopolitico tutt'altro che tranquillo.
La polizia non ha potuto molto contro la foga della cittadinanza, che è riuscita a entrare facilmente nel palazzo presidenziale prendendolo letteralmente d'assalto. Da qui l'ordine del primo ministro alle autorità di fare qualsiasi cosa per ripristinare la sicurezza governativa, proclamando al contempo lo stato di emergenza con annesso coprifuoco. A nulla sembra dunque essere valsa la fuga del presidente Gotabaya Rajapaksa, giudicato assolutamente inesperto rispetto al fratello Mahinda (ora non più in carica, dopo il mandato decennale dal 2005 al 2015), e nemmeno il passaggio di consegne al premier. Già nel 2009, sotto la presidenza di Mahinda, lo Sri Lanka scivolò nel baratro della guerra civile conclusa a suon di bombardamenti e migliaia di vittime civili, che gli valsero l'appellativo di "Terminator".
Il Paese ha chiesto solamente una cosa: le dimissioni congiunte di Gotabaya e Wickremesinghe, giudicati i responsabili del baratro economico in cui è scivolato lo Stato. Dopo la prima scadenza fissata per il 13 luglio nulla è cambiato, e gli scenari sono tutt'altro che idilliaci