Proseguono gli scontri in Sudan, in seguito al conflitto tra forze governative e paramilitari scoppiato il 15 aprile: anche un convoglio diplomatico Usa è finito sotto attacco. Lo ha rivelato il segretario di Stato americano Antony Blinken. Parlando con i giornalisti a margine del G7 dei ministri degli Esteri, Blinken ha sottolineato come al momento non ci sarebbero vittime.
Ormai in corso da sabato, gli scontri sono costati un bilancio provvisorio di almeno 185 morti e circa 1.800 feriti. L'attacco ai diplomatici Usa sarebbe avvenuto ieri, lunedì 17 aprile. Secondo le prime ricostruzioni, la responsabilità sarebbe in capo alle Forze di sostegno rapido, in faida da 4 giorni contro l'esercito regolare. Blinken ha parlato di un'azione "irresponsabile e sconsiderata", e ha rassicurato che "tutti gli occupanti sono salvi".
Proprio a seguito del suo colloquio con il segretario di Stato Usa, il comandante delle Forze paramilitari di supporto rapido ha aperto ad una tregua. Il generale Mohamed Hamdan Dagalo Hemetti ha annunciato un cessate il fuoco della durata di 24 ore, allo scopo di "garantire il passaggio sicuro dei civili e l'evacuazione dei feriti".
I combattimenti si verificano proprio mentre i ministri degli Esteri del G7 sono riuniti in Giappone. Proprio dal G7 è giunto alle parti in causa l'invito a cessare immediatamente le ostilità e ad avviare un dialogo.
Conclusa la loro riunione a Karuizawa, i capi delle diplomazie dei sette Paesi hanno diffuso una nota in merito.
Alla base degli scontri ci sono dissidi di potere tra i due leader militari del Sudan, Burhan e Daglo. I generali avevano preso il potere attraverso il colpo di Stato effettuato nel 2021. Abdel Fattah al-Burhan è a capo dell'esercito sudanese, mentre Mohamed Hamdan Daglo, suo ex vice, comanda le potenti forze paramilitari di supporto rapido (RSF).
Sulla questione si è espresso Volker Perthes, inviato speciale dell'Onu per il Sudan. Parlando con i giornalisti presso la sede Onu di New York, Perthes ha sottolineato di essere "in costante contatto con i leader di entrambe le parti". Nei giorni scorsi le Nazioni Unite avevano annunciato tregue umanitarie di tre ore, che non sarebbero state rispettate dalle due parti.
L'Onu, nel frattempo, ha sospeso gran parte delle proprie operazioni nel Paese. L'organizzazione intergovernativa "non ha intenzione di chiedere al personale di andare a lavorare quando chiaramente la loro sicurezza non è garantita".