L’incontro di ieri si è tenuto nello stesso studio – quello con la vetrata – dove l’ottobre scorso il Presidente della Repubblica aveva dato, ad una Giorgia Meloni neo-investita da un risultato elettorale lapalissiano, l’incarico di formare un nuovo governo. Sempre lì, ieri, Sergio Mattarella e la Presidente del Consiglio dei ministri, si sono trattenuti in un colloquio di circa un’ora in seno alla seduta del Consiglio supremo di difesa tenutosi presso il palazzo del Quirinale. Alla riunione hanno partecipato: il Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni; il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani; il Ministro della difesa, Guido Crosetto; il Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti; il Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso; il Capo di Stato maggiore della difesa, Amm. Giuseppe Cavo Dragone. Ma a fare notizia è il faccia a faccia – questo blindato ed esclusivo – tra le due alte cariche dello stato.
Gli elementi filtrati non forniscono nessuna notizia particolare e si limitano a descrivere un incontro cordiale e costruttivo. Un segnale di attenzione – dicono le fonti – da parte del Presidente Mattarella e nessuna moral suasion che al momento non avrebbe motivo d’esserci in quanto la legge sulla giustizia partorita da via Arenula è un Ddl (disegno di legge) che verrà firmato d’ufficio dal Presidente della Repubblica. La legge non entrerà in vigore ipso iure ma sarà soggetta all’iter legis parlamentare e sarà, quindi, suscettibile di emendamenti. Solamente al termine dell’iter, quando il Presidente Mattarella avrà di nuovo la legge tra le mani, potrebbero essere sollevati dei dubbi dall’alta carica dello stato. Ma da Palazzo Chigi non si dicono troppo spaventati da questo: non è mai successo – dicono fonti di governo - in otto mesi.
I problemi principali stanno nella forma, più che nella sostanza. Quello che non viene gradito dal Presidente della Repubblica è il tono da stadio che ha attorniato, nelle ultime settimane, la discussione sulla giustizia. Gli eventi hanno sicuramente contribuito ad alzare il polverone, con il governo che è finito sotto la gogna mediatica per almeno tre questioni: il caso Santanché, quello Delmastro, quello del figlio di La Russa. Meloni, all’angolo, ha cercato di contrattaccare ripristinando la vecchia retorica della destra berlusconiana: la magistratura politicizzata sta mettendo i bastoni tra le ruote perché vuole farci cadere. Parole – filtrate da Chigi – che polarizzano lo scontro portandolo su livelli di scontro pericolosi. Il rischio è che la discussione sulla giustizia sgusci via dai ranghi istituzionali e si trasformi in una mera questione da stadio, portando il focus lontano dal merito della riforma proposta dal dicastero della Giustizia. È in questo solco che si muove l’azione del Presidente della Repubblica. Mattarella, infatti, avrebbe chiesto a Giorgia Meloni di abbassare i toni riportando, quindi, l’oggetto della discussione nel merito della riforma. Abbandonando liturgie anti-toghe che non piacciono al Quirinale.
Nihil obstat, per ora, dalla presidenza della Repubblica che procederà come d’ufficio ed aprirà l’iter legis ma che pretende, però, che il governo lavori affinché i toni della discussione si abbassino. Si va avanti tra i dubbi, quindi. Ce ne sarebbero almeno due – di merito – nei pensieri del Quirinale: Il primo è legato al passaggio della legge che fa sparire l’abuso d’ufficio, l’altro è quello che riduce in modo drastico la portata del traffico d’influenze. Sono questi i passaggi della legge Nordio che non convincono. Ma bisognerà vedere cosa diventerà la legge Nordio dopo i passaggi in Parlamento.