Non ci sarà alcun risarcimento dei danni per la mamma e la sorella di Francesco e Salvatore Pappalardi, Ciccio e Tore, i due bambini di 13 e 11 anni trovati morti, a 17 mesi dalla loro scomparsa a Gravina di Puglia, all'interno di una cisterna di un rudere noto come "casa delle cento stanze". Così ha deciso la Corte d'Appello di Bari che, dopo la sentenza di primo grado, era stata chiamata a pronunciarsi sull'evitabilità della tragedia. Ne abbiamo parlato con l'avvocato Fabio Bagnulo, che in secondo grado ha assistito la sorella delle due piccole vittime.
Secondo l'avvocato Bagnulo, quella emessa dalla Corte d'Appello di Bari è, per i familiari, "una sentenza dolorosa, che aggiunge dolore al dolore già esistente, rimasto senza una spiegazione". Insieme al collega Vito Lillo, che ha assistito la mamma dei due bambini scomparsi il 5 giugno 2006 e trovati morti il 25 febbraio 2008, il legale aveva chiesto al Comune di Gravina e alla società proprietaria dell'immobile "delle cento stanze", l'Edilarco, il risarcimento dei danni.
Il presupposto era che la struttura abbandonata e pericolante - in cui i due bambini vennero trovati cadavere durante le operazioni di salvataggio che seguirono la caduta di un terzo bambino, Michele Di Nardo - non fosse stata messa in sicurezza, essendo facilmente accessibile da chiunque - addirittura da ragazzini (in tanti, nel tempo, hanno testimoniato di esserci entrati più volte, per giocare) - senza troppi sforzi. I giudici sono stati, alla fine, di avviso diverso.
Riprendendo la sentenza di primo grado (che aveva già negato il risarcimento), hanno stabilito che la morte di Ciccio e Tore, conseguente alla "condotta dei danneggiati", fu "un caso fortuito", una "tragica fatalità" e non la conseguenza di una mancata prevedibilità dell'evento da parte di chi custodiva l'immobile.
"Ho controbattuto dicendo che si è trattato di una morte annunciata, perché che quell'immobile fosse fatiscente e abbandonato a Gravina lo sapevano tutti", sostiene l'avvocato Bagnulo che, chiamato a ricoprire il suo incarico a partire dal secondo grado di giudizio, ha lavorato giorno e notte per passare al setaccio tutte le carte prodotte fino a quel momento.
"Il mio studio è partito dalla lettura, da uno studio approfondito di tutto il materiale probatorio, degli atti di parte e di controparte e poi della sentenza - spiega -. Non sono partito dalla sentenza perché volevo avere un'idea delle risorse a mia disposizione, farmi un'idea mia, per capire come i giudici fossero arrivati a quella conclusione".
È stato così che "mi sono reso conto che in primo grado erano stati sottovaluti tantissimi aspetti della vicenda e che la sentenza - confermata ora dall'Appello - non aveva neanche preso in considerazione le dichiarazioni testimoniali di persone direttamente coinvolte, dando maggior peso a quelle di altre", prosegue. Tra le richieste che aveva avanzato c'era quella di poter tornare ad ispezionare i luoghi della tragedia.
Sia perché il giudice che se ne era occupato in primo grado non era lo stesso che avrebbe poi emanato la sentenza, sia perché, nel frattempo, sarebbero emersi "elementi nuovi", come due stradine - mai attenzionate dalle indagini - in cui i bambini di Gravina erano soliti giocare, confinanti proprio con uno dei muri dell'immobile del drammatico ritrovamento.
Il fatto che, ancora una volta, non si sia riusciti a fare chiarezza sull'accaduto, lascia "indignati", secondo l'avvocato. La storia di Ciccio e Tore, rimasta impressa nell'immaginario collettivo, non hai mai ottenuto - secondo lui - la giustizia che merita, venendo archiviata - sia dal punto di vista penale che civile - come un banale "incidente".
Si dà per scontato che i bambini abbiano scavalcato la recinzione dell'immobile, trovando la morte dopo essere caduti nella cisterna in cui furono ritrovati. Ma "nessuno li ha visti, non c'è una testimonianza che lo dice". Non si sa, in pratica, come siano finiti dov'erano. "Sono tante le ombre su questo caso, sembra che ci sia sempre qualcosa che non ci porti a raggiungere la Verità. Perché un conto è dire una verità, un conto è dire la Verità. Una verità è anche quella della sentenza, che ha stabilito che la colpa fosse dei bambini. Ma è una verità accettabile, verosimile?", si chiede il legale.
Loro di sicuro andranno avanti. "Accanto all'indignazione c'è la volontà di non mollare. Andremo in Cassazione - annuncia -, se ci saranno i presupposti ci rivolgeremo anche agli organi sovranazionali, perché il caso di Ciccio e Tore rimane ancora oggi un mistero". Andare avanti e non fermarsi serve a dare una degna sepoltura ai due bambini, la cui vicenda da 17 anni è avvolta da una fitta nebbia di omertà e di silenzi.
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