Non appena diffusasi la notizia, alcuni hanno ricordato gli scherzi telefonici che il bidello Mario Magnotta alla fine degli anni '80 subiva da due suoi ex studenti, rendendolo un meme che ancora oggi sopravvive. Lo scherzo telefonico che due comici russi hanno giocato alla premier Giorgia Meloni sembra ricadere proprio in questo caso: è bastato che due persone si fingessero personaggi politici di alto livello per ascoltare commenti politici che possono lasciare segni sulla politica nazionale e non dell'Italia.
Per scendere quindi in profondità della vicenda, la puntata di oggi 2 novembre di AAA - Stabilità Cercasi, in onda su Radio Cusano Campus e condotta da Livia Ventimiglia e Simone Lijoi, ha ospitato Marino D'Amore, professore di sociologia all'Università Niccolò Cusano. D'Amore si è soffermato sugli aspetti comunicativi e sociologici dello scherzo telefonico che Giorgia Meloni ha subìto da due comici russi ieri 1° novembre.
Ad alcuni è venuta subito in mente l'immagine dell'italiano credulone che non sembra prestare attenzione e si fida subito del prossimo: il professor D'Amore, però preferisce sottolineare un altro aspetto: "Non c'è differenza fra le dichiarazioni private di Meloni e quelle pubbliche, evitiamo ricostruzioni faziose".
Nel mondo della politica italiana gli scherzi telefonici non sono stati rari, ma erano per lo più relegati a trasmissioni satiriche in televisione come "Striscia la Notizia" o in radio. Il duo comico russo Vovan & Lexus hanno però raggiunto un altro livello: contattare la premier italiana Giorgia Meloni, spacciandosi per il presidente dell’Unione Africana, ed ottenere dichiarazioni sulla politica internazionale e non che rischiano in questi giorni di creare un incidente diplomatico.
Per avere un parere da un esperto nella comunicazione politica, Livia Ventimiglia e Simone Lijoi hanno contattato Marino D'Amore, professore di sociologia all'Università Niccolò Cusano. D'Amore inizia scherzando sul fatto che sia davvero lui a parlare al telefono e considerati i tempi non ha tutti i torti: lo scherzo telefonico di Vovan & Lexus ha mostrato come sia davvero "facile" parlare anche con una persone che di solito non dovrebbe essere raggiungibile da chiunque.
L'ambasciatore Talò si è preso la colpa dell'"incidente", ma alla Farnesina c'è irritazione per come è stato gestito. Ventimiglia e Lijoi iniziano l'intervista chiedendo al professor D'Amore che insegnamento si può trarre dalla vicenda, quali sono i suoi aspetti salienti:
"Io credo che prima di tutto bisogna ricontestualizzare: è assolutamente logico è ovvio che ci siano state, per usare un eufemismo, delle incomprensioni oppure degli errori veri e propri. Però la cosa che non è emersa da questa storia è che questi errori sono stati commessi da altri premier e da altri capi di stato, il che ridimensiona un po' l'errore dell'operato dello staff della presidente Meloni, perché Sànchez, avete nominato giustamente Macron, io aggiungo Christiansen in Danimarca, lo stesso Kissinger ex segretario di Stato negli Stati Uniti sotto la presidenza Nixon ha ricevuto lo stesso scherzo. Evidentemente o questi sono veramente bravi oppure gli altri commettono gli stessi errori degli altri, questo è il primo punto. Il secondo punto fondamentale che non è emerso nelle ricostruzioni che sono state fatte questi giorni e che io non ho visto, almeno leggendo gli articoli e sentendo le dichiarazioni della presidente Meloni, è la grande differenza fra le affermazioni private e quelle pubbliche, cioè il sostegno all'Ucraina e gli obiettivi di politica estera dell'Italia: se queste due dichiarazioni vengono lette da due comici, che per quanto comici sono dichiaratamente filo-russi, possono avere una distorsione che può dipingere queste affermazioni come contraddittorie o comunque controproducenti: diciamo che la storia è giustamente registrata agli onori della cronaca, però vanno detti tutti gli elementi altrimenti se ne fa una ricostruzione faziosa".
I due conduttori e il professor D'Amore concordano su un punto: Meloni è stata coerente fra le sue esternazioni pubbliche e quelle private, ad esempio nel passaggio su Macron e la Francia:
"Questo non è così comune: abbiamo visto in passato che le reazioni private erano molto diverse da quelle pubbliche, ma questo anzi le fa onore".
I due conduttori della trasmissione radiofonica passano ad un aspetto che è connaturato al linguaggio di Meloni e ormai a tanti esponenti politici: la forte schiettezza anche quando si discute fra pari, ma soprattutto quando ci si rivolge ad una potenzialmente vasta platea di possibili elettori. Esiste però una "barriera della lingua" che cambia radicalmente i messaggi politici quando vengono comunicati nelle conferenze stampe e secondo il professor D'Amore:
"Anche questo è un punto a suo favore: diciamo che noi oggi siamo accecati dal politicamente corretto che a volte, secondo me, è un politicamente corretto esasperato che nasconde dietro una facciata accettabile delle grandi nefandezze e non ci accorgiamo che purtroppo siamo ancora schiavi del politichese, il linguaggio che usano i politici ammantato di valore istituzionale che però è poco comprensibile dal popolo. Io, nonostante mi occupi di comunicazione molto modestamente, devo dire che il linguaggio dei politici non lo capisco proprio! E non perché io sia più bravo o meno bravo degli altri: è perché non arriva al destinatario. E quando non arriva al destinatario non è mai colpa del destinatario: è sempre colpa dell'emittente, che deve scegliere il codice ed il linguaggio più adeguato per far sì che il messaggio arrivi".
Un punto particolarmente caro a D'Amore è il comunicare efficacemente: in tempi in cui le persone hanno accesso ad informazioni dal valore e contenuto disparati, è essenziale non perderli come elettori. Un politico deve rendersi conto che le parole sono importanti, ma come veicolare il messaggio è fondamentale. Il professore di sociologia ritiene che gli elettori siano diventati indecisi perché non capiscono i messaggi politici:
"E' ovvio che ci sono dei leader politici di prima fascia, non facciamo nomi ma occupano posizioni di segretario dei partiti più importanti, che quando parlano li guardi un po' con sorpresa per dire: "Ok, e allora?"... Quindi il fatto che la pm Meloni a volte utilizzi un linguaggio schietto significa che va ad intercettare quelle fette di pubblico, e conseguentemente di elettorato, che per esempio è la fascia di indecisi, che sono diventati indecisi proprio per la non comprensione del messaggio politico: una volta che abbiamo capito che le ideologie sono cadute, la cosa principale è la comunicazione, se io non riesco a comunicare quello che voglio realizzare per te, vanifico e fallisco la mia missione politica".
A questo si apre l'interessante questione se l'eccessiva semplificazione del messaggio politico, il suo ridursi a slogan o a trittici di parole che ben si ricordano ("Get Brexit Done", ad esempio), non rischi di alienare ulteriormente l'elettorato. Se questi pensa di essere preso in giro, rischia di astenersi o di cambiare idea politica da un'elezione all'altra. L'opinione di D'Amore è molto interessante a tal proposito:
"Ma lei ha perfettamente ragione: il motivo principale è quello, è restare è un po' fumosi per confondere sugli obiettivi reali da realizzare, quindi quando un domani si deve passare sotto alla prova della coerenza ci si può appigliare a vari cavilli, a vari appigli. Innanzitutto oggi bisogna necessariamente comunicare su più registri, perché il pubblico non è monolitico, non è indifferenziato e lo è quindi anche l'elettorato, ma va distinto per fasce d'età, per caratteristiche, per gusti, per mode, per differenze di genere. Il secondo punto è che bisogna distinguere il concetto di semplicità da quelli di superficialità e populismo: per un leader populista è normale parlare con termini molto semplici, perché in quel caso non va a descrivere la verità, ma narra un processo che va a colpire l'emozionalità della gente, a prescindere da quello che dica e da quello che realizzi dopo, la superficialità è invece prendere le cose un po' all'acqua di rose, la semplicità invece è descrivere il fatto nella maniera più comprensibile possibile. Io ho espresso il concetto in termini simili, ma uno può essere comprensibile, l'altro no. Io penso che questo esame di coscienza, soprattutto i politici che non sono dei professionisti, ossia dei politici di professione, ma sono dei rappresentanti di una fetta di popolazione, e questo esame di coscienza se lo devono fare necessariamente oggi, in cui siamo iper-stimolati da tantissime fonti informative e quindi dobbiamo attivare dei criteri di selezione molto più precisi che in passato".
L'ultimo tema toccato durante l'intervista riguarda l'elettorato. In Italia è ormai lampante che gli elettori siano decisamente volatili, spostandosi da uno schieramento all'altro, dall'essere inattivi al voto o dal voto all'astensione. Il professor D'Amore collega questi repentini cambiamenti al grado di fiducia che gli elettori possono avere o meno nei confronti dei politici:
"Quello è indiscutibile, ma infatti l'ago della bilancia politica negli ultimi 20 anni si sia diretto in direzioni diametralmente opposte rispetto al passato. Anche in passato quando c'erano i democristiani o i socialisti, ma i messaggi politici erano quelli, le ideologie erano quelle. Oggi la politica ha subito una sorta di individualizzazione, cioè si vota il personaggio, non più il partito e come vedete c'è un grande cambiamento in pochissimo tempo, in un lasso di tempo molto breve: prima c'è stato il Movimento 5Stelle, poi la destra. Perché le persone in pubblico hanno capito che la loro fiducia non va regalata: si cerca di capire se quelle persone, e soprattutto quei leader, riescano a realizzare quegli obiettivi, quando si decide che non l'hanno fatto, si cambia radicalmente strada. Ad esempio l'emorragia di elettori che si è distaccata dal PD si è diretta verso lidi politici anche diametralmente opposti a livello ideologico e questo ci deve far riflettere".