Nel contesto lavorativo italiano, esiste una normativa specifica che tutela le lavoratrici nel caso di matrimonio, garantendo protezione contro i licenziamenti ingiustificati. Visto un recente caso a latina, andiamo a fornire qualche chiarimento normativo sul tema: cosa dice la legge sul licenziamento dopo il congedo matrimoniale? È illegittimo? Si può impugnare?
La legge italiana, nel suo impegno a proteggere la funzione familiare della donna, stabilisce un divieto di licenziamento per le lavoratrici nel periodo che va dalle pubblicazioni nuziali fino a un anno dopo il matrimonio. Questa disposizione, inserita nel Decreto Legislativo 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità tra Uomo e Donna), ha l'obiettivo di salvaguardare i diritti lavorativi delle donne che decidono di sposarsi.
Qualora una lavoratrice venga licenziata in questo periodo, il licenziamento è considerato nullo. Le conseguenze per il datore di lavoro includono la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal momento del licenziamento fino alla ripresa effettiva del servizio. Le tutele legali si estendono anche alla possibilità per la lavoratrice di optare per un risarcimento in luogo della reintegrazione.
Entrando più nello specifico, la legge italiana offre alle lavoratrici il diritto di opzione, permettendo loro di scegliere tra la reintegrazione nel posto di lavoro o un'indennità pari a quindici mensilità. Questa disposizione ha l’obiettivo di garantire una maggiore flessibilità nella scelta della tutela più adatta alle esigenze individuali. Pensiamo ad esempio a una lavoratrice licenziata ma reintegrata, timorosa delle conseguenze del risarcimento sul posto di lavoro.
Oltre alla protezione per le lavoratrici sposate, la legge italiana proibisce il licenziamento:
Tuttavia, ci sono alcune eccezioni in cui il licenziamento può essere giustificato, come la grave colpa della lavoratrice (quindi si parla di licenziamento per giusta causa), la cessazione dell'attività aziendale, o il termine del contratto di lavoro per cui la lavoratrice è stata assunta.
Queste tutele si applicano indipendentemente dal motivo del licenziamento e dalla dimensione dell'azienda. Sono pensate come presunzioni legali che operano in modo oggettivo, tutelando la lavoratrice indipendentemente dalla consapevolezza del datore di lavoro riguardo al matrimonio o alla maternità.
La normativa non si applica alle lavoratrici domestiche o ai rapporti di lavoro in prova, in quanto non è possibile imporre la presenza di un'estranea nell'intimità familiare.
Un caso recente ha visto un giudice del Lavoro annullare un licenziamento per "discriminazione di genere" di una lavoratrice licenziata dopo il congedo matrimoniale.
Più di preciso, una dipendente della Sermometal Srl, un'azienda metalmeccanica di Latina, è stata licenziata nel 2019 al suo rientro dal congedo matrimoniale. La lavoratrice, sostenendo di essere stata licenziata per motivi discriminatori e non per le gravi mancanze contestate dall'azienda, ha deciso di impugnare il licenziamento. L'avvocato della donna, Fabio Leggiero, ha portato il caso dinanzi al Tribunale di Latina, sottolineando la violazione del Codice sulle pari opportunità nei rapporti di lavoro tra uomo e donna.
Il giudice Umberto Costume, in sede di opposizione, ha dichiarato il licenziamento nullo e discriminatorio, confermando le violazioni di genere. Il Tribunale ha quindi riconosciuto che il licenziamento non era dovuto a mancanze professionali, ma piuttosto alla decisione della lavoratrice di sposarsi e creare una famiglia, evidenziando la necessità di rispettare i diritti previsti dal contratto di lavoro e le leggi sulla parità di genere. Di conseguenza, è stata disposta la reintegra e il risarcimento del danno.
L'avvocato Leggiero ha commentato la sentenza sottolineando l'importanza del rispetto del principio di uguaglianza di genere nei rapporti di lavoro, in un periodo storico dove la lotta per la parità di genere è più forte che mai.