Nel 2018 Massimo Bossetti è stato condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra scomparsa il 26 novembre 2010 e trovata morta tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo di Chignola d’Isola. Ad incastrarlo è stata l’analisi del Dna estrapolato sugli slip e sui pantaloni della ragazza, reperti che la difesa non ha mai avuto modo di visionare, né di esaminare.
Più volte, in questi anni, ne ha fatto richiesta alla Corte d’Assise di Bergamo. E ai suoi no ha risposto con sei ricorsi in Cassazione. Lo scorso maggio era arrivato l’ok all’accesso, ma per la sola visione. L’apposita udienza era in programma per lo scorso 20 novembre. Poi i legali che difendono l’uomo – che si è sempre professato innocente – hanno presentato una nuova istanza e l’udienza è slittata. Il loro obiettivo è arrivare anche a compiere nuovi esami, per capire se in passato siano stati compiuti degli errori.
Abbiamo sempre chiesto, durante il processo, fin dall’udienza preliminare, che questo esame del Dna fosse svolto in contraddittorio proprio per consentire alla difesa di dimostrare che quei risultati erano sbagliati e che il Dna di ‘Ignoto 1’ non è il Dna di Massimo Bossetti. Purtroppo questo non ci è stato mai consentito, ha spiegato nell’ultima puntata di Crimini e criminologia, andata in onda ieri sera su Cusano Italia Tv, uno dei legali dell’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, l’avvocato Claudio Salvagni, intervistato da Fabio Camillacci e Gabriele Raho.
Un anno dopo la chiusura del processo di merito avanzammo una nuova richiesta di esame dei reperti e la Cassazione il 27 novembre 2019 ci autorizzò a esaminarli, non soltanto a guardarli. Poi però ogni nostra richiesta sulle modalità operative, cioè su come procedere per l’analisi, è sempre stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’Assise di Bergamo, ha proseguito.
Lo scorso maggio era arrivata la svolta, con la decisione della Cassazione di rendere esecutivo il provvedimento emanato nel novembre 2019. Ecco il perché del nostro nuovo ricorso – spiega Salvagni – non ci basta guardare i reperti, ma vogliamo esaminarli. Su quei reperti, infatti, secondo i giudici si basa la colpevolezza di Bossetti.
Non è solo la difesa a pensare che l’uomo si trovi ingiustamente in carcere. Negli anni, in Italia, si sono fatti avanti tanti innocentisti, persone convinte che l’uomo sia vittima di un errore giudiziario. Nel caso Yara-Bossetti il dubbio è sempre stato lacerante, sostiene Salvagni. Molti ancora oggi si chiedono: perché impedire alla difesa di fare la prova scientifica sul Dna? Se voi dell’accusa siete così sicuri del risultato che timore avete? Tutto questo continua ad alimentare il dubbio nell’opinione pubblica, la quale continua a convincersi sempre di più che in carcere ci sia veramente un innocente.
Me lo conferma Massimo Bossetti dicendomi che molte persone gli scrivono per esprimergli solidarietà e stargli vicino, prosegue l’avvocato. Nell’attesa che la Corte di Cassazione decida sul nuovo ricorso presentato da Salvagni e dal collega Paolo Camporini, il presidente della Corte d’Assise di Bergamo ha rinviato l’udienza che era stata fissata per il 20 novembre scorso.
La speranza di Bossetti è che arrivi finalmente l’ok all’esame dei reperti. È come se si fosse aperta una crepa nel muro e noi siamo convinti che questa crepa diventerà un vero e proprio squarcio. Massimo ovviamente è contento di questo; aspetta con ansia questa decisione della Corte, e mi ha detto ‘l’analisi di quei reperti consentirà di dimostrare la mia innocenza’".
"Naturalmente, tutti noi siamo d’accordo con lui e crediamo fortemente di poter arrivare a dimostrare la sua innocenza e a chiedere così la revisione del processo, ha concluso l’avvocato, che a Tag24 aveva parlato degli sviluppi del caso come di una luce in fondo al tunnel. La Corte potrebbe emanare il suo verdetto già all’inizio del nuovo anno. Secondo le previsioni di Salvagni tra marzo e aprile potrebbe poi tenersi l’udienza decisiva.